ISTANBUL. Dopo quasi 60 mila epurazioni e 9mila arresti, la Turchia dichiara lo stato di emergenza per 3 mesi. La nuova stretta per il fallito golpe viene annunciata a tarda sera in un discorso alla nazione dal presidente Recep Tayyip Erdogan. "Si tratta di una misura che serve a fornire una risposta rapida alla minaccia terroristica e garantire la democrazia", scandisce, invitando "il popolo e il mondo dell'economia a non preoccuparsi, perché la Turchia uscirà da questa situazione ancora più forte" e ammonendo Standard & Poor's a non occuparsi della Turchia. Un annuncio che arriva subito dopo un'intervista in cui il presidente turco ipotizza la presenza di "altri Paesi" dietro il putsch, oltre alla "mente" rappresentata da Fethullah Gulen e la sua rete di affiliati. "Una metastasi da eliminare", la definisce Erdogan. Le nuove misure straordinarie arrivano dopo una giornata di purghe senza sosta, che hanno colpito migliaia di dipendenti pubblici, soprattutto professori, e giornalisti. In manette sono finiti anche due giudici della Corte costituzionale. "Misure che contraddicono l'azione di uno Stato di diritto", attacca la Germania. Intanto, è arrivata la prima confessione di un golpista. È il luogotenente colonnello Levent Turkkan, consigliere del capo di Stato maggiore, che ha ammesso di far parte della rete di Gulen. Agli inquirenti avrebbe raccontato le ore decisive in cui i golpisti sono entrati in azione, cercando invano di convincere i vertici dell'esercito fedeli al presidente a schierarsi con loro. Per le strade della Turchia, la tensione continua a crescere. "Feto (Gulen, ndr), cane del diavolo, impiccheremo te e i tuoi cani al vostro stesso guinzaglio", recita in queste ore un gigantesco striscione a piazza Taksim a Istanbul, appeso dalle folle pro-Erdogan sulla facciata del centro culturale Ataturk, un tempo fortino della rivolta anti-governativa di Gezi Park. A fianco, due maxi ritratti proprio del presidente turco. Un clima pesantissimo cui contribuiscono anche le notizie di "estese torture" contro militari detenuti in isolamento alla centrale di polizia di Ankara, rilanciate da Amnesty International, che denuncia una repressione di proporzioni eccezionali anche sulla stampa, proprio mentre i giornalisti cercano di indagare sui misteri del golpe. Almeno 24 radio e tv considerate vicine a Gulen sono state chiuse, mentre venivano ritirati gli accrediti stampa di 35 reporter e arrestato il direttore del giornale Meydan, Levent Kenez. Bloccata anche la diffusione del settimanale satirico Leman, tra i più letti in Turchia, colpevole di aver più volte ricordato i legami storici tra Erdogan e Gulen, prima della rottura del 2013. Proseguono senza sosta le purghe nel settore dell'istruzione. Il ministero ha sospeso altri 6.538 dipendenti, dopo i 15.200 già allontanati ieri e i 21 mila a cui era stata tolta la licenza per insegnare nelle scuole private. Colpite adesso anche le strutture, con l'annuncio di 626 scuole 'pro-Gulen' di cui è stata avviata la chiusura. Pesantissima la mano del sultano sui professori universitari. Dopo aver ottenuto le dimissioni dei 1.577 presidi di tutti gli atenei, sono stati cacciati anche 95 membri del personale accademico dell'Università di Istanbul e i rettori di altri 4 atenei. Tra loro, quello dell'Università di Gazi ad Ankara, Suleyman Buyukberber, è stato anche arrestato. Agli accademici è imposto un divieto di espatrio per motivi professionali, mentre vengono richiamati in patria quelli attualmente all'estero. Fatti fuori anche 2.345 dipendenti dal ministero dello Sport. Epurazioni pure alla Difesa, dove è stata avviata un'indagine su tutti i giudici e procuratori militari, sospendendone al momento 262. Una mossa che prelude alla nomina di nuovi magistrati fedeli, pronti a punire i golpisti e i loro presunti sostenitori senza esitazioni.