CLEVELAND. I delegati repubblicani sono quasi tutti arrivati a Cleveland, in Ohio, per prendere parte ad una convention di partito "come non l'avete mai vista". O almeno questo potrebbe essere uno slogan in perfetto stile Trump. Il tycoon di New York e star della tv che vuole diventare presidente pare abbia voluto curare di persona alcuni aspetti del raduno in cui verrà incoronato candidato del Grand Old Party (Gop) nella corsa per la Casa Bianca e ciò ne fa uno show assicurato. Nonostante manchi la scaletta: che sia per alimentare l'effetto sorpresa o per "perfezionismo" dell'ultimo momento, il programma non è ancora chiarissimo. Quello che però è evidente è che nella Quicken Loans Arena di Cleveland il partito repubblicano va a cercare l'unità, perduta definitivamente con l'establishment rimasto travolto dall' avanzata dell'outsider che ha portato alla luce in maniera eclatante ed irrimediabile le crepe cui il partito si era di fatto abbandonato . Trump in realtà ha fatto il grosso del lavoro, optando in via del tutto eccezionale per la "ragione" invece che per l'istinto (nonostante quest'ultimo gli abbia portato grandi soddisfazioni in questa stagione elettorale) nella scelta del candidato vicepresidente, ricaduta quindi sul governatore dell'Indiana Mike Pence per accontentare e avvicinare a sè l'ala conservatrice del partito che del tycoon, del suo stile di vita e dei suoi valori non si fidano. Pence, che si è definito «cristiano, conservatore e repubblicano, in quest'ordine» deve fargli da "opposto" insomma, per completarlo. Si tratta però della "concessione" massima e più evidente da parte di Donald Trump, che pure però l'avvicinamento a piccoli passi lo aveva avviato diverse settimane prima della convention, con un rimpasto del suo staff per esempio, per rispondere alla richiesta di 'abbassare i toni e di 'aggiustare il tiro'. O alcuni "tira e molla" su certi slogan e certe promesse che però ancora oggi restano controversi, come la proposta di bandire tutti i musulmani dal'ingresso negli Usa come strumento di contrasto alla minaccia terroristica. È ancora poco chiaro come e quanto Trump sia disposto a cedere su questo punto, mai suoi neo sostenitori dell' establishment si fanno adesso garanti di ragionevolezza a riguardo. Del resto sarebbe troppo tardi far saltare tutto ora che tanta opera di convinzione si è fatta, tanti bocconi amari sono stati ingoiati: che si proceda con la nomination, che si trovi un compromesso e ci si unisca dietro al candidato. Poi via, da Cleveland verso l'election day di novembre. E allora eccolo il magnate del mattone a raccogliere i frutti di una corsa lanciata al grido dell'antipolitica nel rito per eccellenza della politica americana. Alla fine Trump verrà incoronato con una 'chiamata al votò dal 'floor' dell'arena, con ogni Stato a scandire il numero di delegati a favore del candidato 'designatò. E se lo spettro di una 'convention apertà sembra da settimane del tutto scacciato, negli ultimi giorni pare che nel lavorio dietro le quinte si sia trovato anche un compromesso per evitare litigi sulle regole da darsi. È un processo laborioso quello che ha portato il partito repubblicano a questa convention che cerca l'unità e non senza alcune perdite , anche di peso, come i Bush , padre e figlio ex presidenti, che alla kermesse non ci saranno. O Mitt Romney, ex 'vecchio saggiò del partito che pare non sia disposto a celebrare questo possibile 'nuovo corso'.