Turchia, dura reazione al golpe fallito: arrestati 2.800 militari, giudici rimossi. 265 le vittime
ANKARA. Dopo la sua notte più lunga, la Turchia si risveglia ancora nelle mani di Recep Tayyip Erdogan. Il primo tentativo di colpo di stato militare dal 1980 si sgretola di fronte agli errori di strategia dei golpisti e alla fedeltà al 'sultano' del suo popolo, sceso in strada a difenderlo dopo il drammatico appello via FaceTime, già entrato nei libri di storia. Un bilancio di almeno 265 morti accertati e oltre 1.400 feriti negli scontri e nei bombardamenti che fino al mattino hanno sconvolto i centri nevralgici di Istanbul e della capitale Ankara, dal ponte del Bosforo al Parlamento. Un golpe fallito di cui Erdogan ha subito accusato il suo nemico numero uno, quel Fethullah Gulen che per anni ha accompagnato la sua scalata al potere e ora è incluso dalla Turchia nella lista dei terroristi più pericolosi. Il braccio di ferro per ottenerne l'estradizione dagli Stati Uniti, dove vive in auto-esilio dal 1999, è già cominciato. Dal canto suo, l'imam e magnate Gulen nega ogni accusa e rilancia: "C'è la possibilità che il golpe sia stata una messa in scena per continuare ad accusare i miei sostenitori". Tornato in patria e al comando, dopo aver misteriosamente atteso il corso degli eventi in volo, Erdogan ha riabbracciato le sue folle - anche fisicamente - e avviato una purga che si annuncia come la più feroce dalla dittatura militare degli anni '80: almeno 2.839 militari infedeli arrestati nel giro di poche ore, tra cui diversi generali, e la minaccia di reintrodurre la pena di morte, definitivamente abolita proprio da un suo governo nel 2004. A discuterne, ha precisato in serata il ministro della Difesa, dovrà essere comunque il Parlamento. Alle prime luci dell'alba, la Turchia si era svegliata ancora in stato d'assedio. L'emittente statale Trt e la tv privata Cnn Turk, entrambe occupate e poi abbandonate nella notte dai putchisti, mostravano le immagini dei soldati che si arrendevano senza armi sul ponte del Bosforo, chiuso al traffico fino al mattino, e dei sostenitori di Erdogan a far festa sui carri armati. Era solo l'inizio. In mezzo alle notizie di folle inferocite contro i golpisti, di cui chiedono a gran voce esecuzioni pubbliche, qualcuno si è anche fatto giustizia da solo. Come mostra un video shock, diffuso sui social media, in cui un soldato che si era arreso viene picchiato a morte e decapitato. Sempre a Istanbul, l'aeroporto Ataturk, inizialmente finito in mano agli insorti, è stato riconquistato con un'invasione della folla pro-Erdogan. E non a caso, fino a giorno inoltrato, lo scalo è diventato il quartier generale del presidente, apparso più volte dentro e fuori la struttura per ringraziare i turchi del sostegno nella cacciata dei golpisti. Nel corso della giornata, pur con i tanti voli cancellati e i notevoli ritardi accumulati, l'aeroporto ha poi ripreso a funzionare. Nella capitale Ankara, gli insorti hanno bombardato il Parlamento e colpito l'area della faraonica residenza presidenziale, il simbolo del potere di Erdogan. Ma proprio dalla Grande Assemblea Nazionale, riunita nel pomeriggio in una seduta straordinaria, è arrivato un messaggio unanime di condanna del golpe da tutti i partiti. Tra i banchi degli ospiti, sedeva anche il capo di Stato maggiore Hulusi Akar, preso in ostaggio durante il putsch mentre si trovava a un matrimonio e liberato in mattinata da una base aerea alle porte di Ankara, dove era trattenuto. La purga avviata da Erdogan contro i presunti 'gulenisti' ha già il sapore di una resa dei conti. Nella lista ci sono anche figure eccellenti. In manette sono finiti centinaia di giudici, compresi alcuni della Suprema corte amministrativa e uno dei membri della Corte costituzionale. Nel frattempo, altri 2.745 magistrati sono stati rimossi dai loro incarichi. Ma se in patria il giro di vite sembra destinato a proseguire senza grossi ostacoli, la vera partita coinvolge adesso gli Stati Uniti. In serata, Erdogan ha sostenuto di aver richiesto a Washington l'estradizione di Gulen. Una circostanza smentita però dal segretario di Stato Usa, John Kerry, che ha anche chiesto ad Ankara le prove del presunto coinvolgimento dell'imam. Nella trattativa, Erdogan potrebbe però inserire l'uso della base aerea strategica di Incirlik, aperta dalla scorsa estate alla Coalizione anti-Isis ma da oggi sospesa fino a nuovo ordine.