Lunedì 23 Dicembre 2024

Nizza, ritrovata in ospedale una italiana dispersa: ma ne mancano all'appello ancora 20

S.MICHELE MONDOVI'. E' stata ritrovata in ospedale, dalla figlia, Marinella Ravotti, la 55enne di S.Michele Mondovì di cui si erano perse le notizie dopo l'attentato di Nizza rivendicato dall'Isis. E' ricoverata al 'Pasteur' in Rianimazione in una stanza accanto a dove si trova il marito, Andrea Avagnina. La storia di Marinella si scioglie in un pianto e in una manciata di secondi. Oltre le procedure della polizia francese che impongono l'esame del dna per il riconoscimento delle vittime che rallentano le speranze di un'umanità straziata, sono stati due anelli a mettere la parola fine all'angoscia di Andrea Avagnina, consigliere comunale a San Michele di Mondovì, rimasto ferito nell'attentato. Marinella è viva, ricoverata nel reparto di rianimazione dell'ospedale Pasteur, il volto sfigurato e un sonno indotto, ma viva. Una gioia in più e un numero in meno sull'elenco di nomi che instancabilmente gli uomini dell'Unità di crisi della Farnesina con il console generale italiano a Nizza Serena Lippi stanno confrontando ormai da 48 ore. Numeri imperfetti: 31 cittadini italiani ancora da rintracciare alle 10, venti non rintracciati alle 15.30. Di questi, per una decina i familiari chiedono insistentemente notizie alla Farnesina e al consolato generale d'Italia a Nizza. C'è chi va al consolato conservando la speranza, chi arriva con notizie frammentarie, nomi dati alla tv che non si sovrappongono alle foto. C'è chi telefona ora dopo ora e sente scivolare via la speranza. Perché il tempo passa, e la definizione tecnica di 'non rintracciato' assume contorni difficili da stabilire. Tra loro Carla Gaveglia, 48 anni, e Angelo d'Agostino, 71, che alle 21.30 del 14 luglio ha mandato l'ultimo sms per dire che stava guardando i fuochi. E sua moglie Gianna Muset 68 anni. Più le ore passano, più aumenta l'angoscia, più si ispessisce il silenzio. E la definizione di non rintracciato perde la sua essenza di speranza e di futuro. Dieci persone, 10 turisti italiani. Ma ancora non c'è nulla di vero, nulla di concreto. Sono ancora numeri imperfetti. Promenade des Anglais come boulevard du deuil, il viale del lutto. Lo si avverte nelle urla strazianti del padre maghrebino che viene informato della morte del figlio, nelle lacrime dell'anziana signora turca che ha perso il marito, lacrime che corrono nel piazzale antistante l'ospedale Pasteur. Da una parte i vivi, feriti ma vivi, dall'altra parte i morti che ancora devono avere un nome. E tutte le volte che un parente esce dal grande pallone di mattoni, dove lavorano gli psicologi inviati dall'Unità di crisi del ministero dell'Interno francese, sono grida disperate, che hanno lunghe eco. Tra le lacrime ci sono quelle terribili di Alya che ha occhi grandi così: è stata salvata dal nonno, Gaetano Moscato, 71 anni e una gamba amputata dopo l'urto con il tir guidato da Mohamad Bouhel. Ha difeso Alya con il proprio corpo. E lei non vuole ricordare la sera dell'orrore, si copre le orecchie con le mani e si mette a piangere disperata. "Portami via", dice alla madre Silvia. E lei l'abbraccia e se la porta lontano. Alya non dimenticherà: scuote il capo ma quel ricordo non riesce proprio a scrollarlo via. Intanto in ospedale i medici continuano i prelievi e i confronti con i dna dei parenti che, in fila, aspettano il loro turno. Una procedura che non porta errori ma che prolunga l'agonia di chi aspetta. Ci si conta, ci si cerca. L'elenco del consolato si allunga e si accorcia, si allungano e si accorciano speranze. A sera sono ancora tutti numeri imperfetti.

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