ROMA. Una strage, una strage di imprenditori tessili italiani. Tutti rimasti intrappolati e uccisi nel locale dove stavano cenando, l'Holey Artisan Bakery di Dacca, assaltato venerdì sera da un commando di miliziani affiliati all'Isis nel quartiere diplomatico della capitale bengalese. Lo stesso quartiere dove il 28 settembre dello scorso anno un altro italiano, il veterinario e cooperante Cesare Tavella, fu ammazzato mentre faceva jogging.
Sono nove le vittime accertate di questo massacro consumato alla vigilia delle vacanze: alla fine del Ramadan in Bangladesh c'è un periodo di feste e tutti gli expat (la comunità degli espatriati) ne approfittano per tornare a casa. La Farnesina ha ufficializzato i loro nomi. Cinque donne e quattro uomini che parenti e amici non potranno più riabbracciare.
Nadia Benedetti, 52 anni, originaria di Viterbo, managing director della StudioTex Limited, da 20 anni trasferita in Bangladesh per dedicarsi a un lavoro che era la sua fonte di vita. "Un branco di bestie ce l'ha portata via" ha scritto su Fb la nipote Giulia. Adele Puglisi, 54 anni, manager per il controllo della qualità per la Artsana, non era sposata e non aveva figli; abitava nello storico rione del Fortino a Catania, dove sarebbe dovuta ritornare nei prossimi giorni.
Claudia Maria D'Antona, torinese, 56 anni, un grande impegno nel volontariato, da molti anni viveva in Oriente, prima in India e poi a Dacca dove era titolare dell'azienda Fedo trading con il marito, Giovanni Boschetti, l'uomo che è riuscito a sfuggire ai terroristi scappando dal locale. Maria Riboli, 34 anni, dopo il matrimonio si era trasferita a Solza, nell'Isola bergamasca; lascia una bimba di tre anni; si trovava in viaggio di lavoro per conto di un'impresa tessile.
Quasi coetanea, 33 anni, la reatina Simona Monti; sarebbe dovuta rientrare in Italia lunedì e restare a Magliano Sabino, dove vivono i suoi familiari, in aspettativa, perché da poco aveva appreso di essere incinta. Marco Tondat, 39 anni, da Cordovado (Pordenone) era partito un anno fa perché in Italia aveva difficoltà a trovare lavoro; a Dacca era supervisore di un'azienda tessile. Cristian Rossi, anche lui friulano, papà di due gemelline di 3 anni; per anni aveva lavorato per la Bernardi come buyer in Bangladesh per poi mettersi in proprio. Claudio Cappelli, 45 enne residente in provincia di Monza con la moglie e la figlioletta di 6 anni, aveva da 5 anni una impresa nel settore tessile che produceva t-shirt e magliette. Vincenzo D'Allestro, di origine campane ma nato in Svizzera, 46 anni, abitava con la moglie ad Acerra (Napoli) ma era quasi sempre fuori per lavoro, anche lui nel settore tessile.
Un altro italiano manca ancora all'appello. "Per ora non risulta tra i cadaveri identificati all'obitorio militare di Dacca", ha riferito il ministro Paolo Gentiloni. "Può essere che sia tra i feriti o che sia irreperibile". Per lui resta un filo di speranza. Intanto, un aereo della presidenza del Consiglio è decollato nel pomeriggio diretto in Asia per riportare a casa le salme dei connazionali uccisi.
Vite spezzate come quelle degli altri civili italiani innocenti uccisi nei mesi scorsi dai terroristi a Tunisi, Parigi, Burkina Faso, Libia, Bruxelles. E nella memoria resta sempre Nassirya dove il 12 novembre 2003 un attentato terroristico causò la morte di 19 soldati italiani impegnati in missione in Irak.
LA STRATEGIA DELL'ISIS. Alla perdita di terreno in Siria, Iraq e Libia, lo Stato Islamico risponde rilanciando la strategia di attacchi terroristici in tutto il mondo. Venerdì a Dacca, in precedenza ad Istanbul, Parigi, Orlando, Baghdad. E domani potrebbe essere ovunque, ovunque ci siano interessi occidentali da colpire.
La preoccupazione è alta nell'intelligence italiana, non solo da ieri. Accresciuta dall'imprevedibilità della minaccia jihadista, che sempre più spesso sceglie 'soft target', obiettivi difficilmente difendibili, come il ristorante di Dacca. Ed è portata avanti da piccole cellule o addirittura lupi solitari difficili da intercettare. Senza contare che, se è già complicato prevenire il rischio in Italia, lo è ancora di più quando si tratta di difendere connazionali in Paesi come il Bangladesh.
Lo scorso 21 maggio il portavoce dell'Isis Abu Muhammad al Adnani aveva esortato i militanti a fare del Ramadan, iniziato lo scorso 6 giugno, "un mese di calamità dappertutto per i miscredenti. La più piccola azione che farete nella loro terra è migliore e più duratura di quella che potreste dare se voi foste con noi".
Un appello in linea con l'analisi degli 007 sull'evoluzione della minaccia dello Stato Islamico. Nell'ultimo anno il Califfato - sotto i bombardamenti della coalizione internazionale - ha perso metà del territorio che aveva occupato nel cosiddetto 'Siraq', Siria ed Iraq. Inoltre, il tentativo di sfondamento in Libia è fallito e la roccaforte nera di Sirte è sotto assedio dalle milizie libiche. Si stima infine un dimezzamento delle fonti di finanziamento, fondamentali per mantenere l'esercito di foreign fighters accorsi da mezzo mondo nell'area.
Tutto ciò - è la valutazione dei servizi - ha determinato un cambio di strategia da parte dei seguaci di al Baghdadi, con l'invito ad una sorta di jihad globale contro i "miscredenti" in tutto il mondo, sfruttando una propaganda ossessiva sul web. Nella campagna terroristica contro l'Occidente c'è una 'regia' complessiva da parte di soggetti che hanno vissuto per anni in Paesi occidentali, ma molto viene anche lasciato al volontarismo delle cellule e dei singoli che si attivano autonomamente e, così, sono molto più difficili da intercettare per tempo.
Ecco perchè negli ambienti dell'intelligence non si esulta troppo per i passi avanti in Iraq, Siria e Libia. C'è infatti la preoccupazione per quello che può accadere altrove ed anche per il ritorno dei combattenti da un teatro che li vede in difficoltà. C'è quindi un attento monitoraggio della lista - una novantina di nomi - dei foreign fighters che hanno avuto a che fare con l'Italia (quelli con passaporto italiano sono non più di dieci). Sorvegliate speciali anche le carceri dove maggiormente si annida il rischio radicalizzazione.
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