ROMA. La doppia vita di Omar Mateen, il killer della strage di Orlando nato in Usa ma di origini afghane. Ha colpito la comunità gay, uccidendo 49 persone. Emergono nuove testimonianze su una personalità che appare certamente molto complessa.
Le indiscrezioni raccolte indicano una verità sconvolgente: il ragazzo di origine afghana era stato più volte al Pulse, il club teatro del massacro. E - come racconta l'Orlando Sentinel - era un assiduo frequentatore di chat online per omosessuali, iscritto anche a una app per incontri gay chiamata 'Jack'd'. In un'intervista a una giornale brasiliano, ripresa dal New York Post, è poi la ex moglie Sitora, con cui Omar fu sposato per qualche mese nel 2009, a confermare le sue tendenze sessuali, mentre un ex compagno di scuola del killer racconta come una volta ricevette un invito esplicito ad uscire insieme.
Per gli inquirenti sembrano non esserci più dubbi sul fatto che anche lui fosse omosessuale, mentre uno degli ostaggi sopravvissuti, Patience Carter, ha riferito di averlo sentito spiegare alle persone barricate con lei nei bagni che voleva che «l'America smettesse di bombardare il suo Paese».
Ma i colpi di scena, a tre giorni dalla peggiore sparatoria della storia recente degli Stati Uniti, non finiscono qui. Nora Salman, la seconda moglie del killer di Orlando, era a conoscenza del piano del marito di attaccare il gay club Pulse. Lo rende noto la Fox citando fonti dell'Fbi, secondo cui la donna potrebbe essere incriminata. A quanto pare, tentò di dissuadere il marito dal compiere l'attacco al Pulse club sabato scorso, prima che l'uomo si mettesse in viaggio per Orlando. Lo rivela un responsabile delle indagini sulla strage citato dal Washington Post.
La coppia «sorvegliò il locale tra il 5 e il 9 giugno», pochi giorni prima del massacro. Secondo Fox e Cnn, la donna accompagnò il marito anche a comprare il fucile semiautomatico AR-15 con il quale l'uomo ha compiuto la strage. Agli investigatori, Nora avrebbe raccontato di trovarsi con Omar quando l'uomo acquistò munizioni e una fondina per la pistola. E avrebbe condotto il marito al Pulse in auto almeno in una occasione. Forse un sopralluogo. Come quello che probabilmente Omar ha compiuto alcuni giorni prima della strage anche al parco di Disney World, forse un possibile obiettivo. Ora la donna, che sta collaborando con gli inquirenti, rischia di essere incriminata con l'accusa di non aver avvertito le autorità competenti su quanto sapeva prima dell'attacco al Pulse. Un attacco che, se così stanno le cose, si sarebbe potuto evitare.
Nei mesi precedenti, Mateen, aveva visitato anche un altro locale gay di Orlando, il Revere che ha chiuso i battenti giovedì scorso, poco prima della strage del Pulse. Il proprietario del locale, Micah Bass, ha confermato all'Fbi che Omar Mateen ha visitato il locale varie volte. Bass ha contattato le autorità dopo aver riconosciuto Omar in televisione. Bass è stato interrogato in queste ore e le autorità gli hanno chiesto di conservare tutti i video di sorveglianza. Il Revere aveva una capienza di 750 persone, più del Pulse. «Se avesse voluto uccidere più persone avrebbe avuto senso fermarsi qui», afferma Bass sottolineando che uno dei suoi ex dipendenti è fra le vittime della strage.
Intanto i feriti ancora ricoverati sono 27, e sei versano in gravi condizioni. «Il bilancio delle vittime potrebbe aggravarsi», ammettono i medici. I racconti dei testimoni si moltiplicano e danno il senso dell'orrore che ha sconvolto la vita delle decine di sopravvissuti. Con l'immagine di un killer calmo, freddo, spietato, che rideva mentre sparava. Insensibile al pianto degli ostaggi che lo supplicavano, implorandolo di salvare loro la vita. Ma lui implacabile si accaniva sui corpi, e sparava più volte contro lo stesso bersaglio per essere sicuro di aver ucciso la sue vittime. Sempre più nella bufera, poi, l'Fbi, accusata da più parti di aver fallito, di non essere riuscita a fermare un uomo che aveva messo sotto sorveglianza e interrogato per ben due volte.
Ma alla fine Omar non era stato considerato una minaccia, nonostante i suoi viaggi in Arabia e nonostante - come emerge dai racconti di familiari e amici - fosse un tipo instabile e violento. E sensibile alla propaganda estremista, come confermano, stando alla Cnn, le sue ricerche on line per materiale jihadista, compresi video dell'Isis su decapitazioni. Pare che più volte abbia anche scherzato sugli attentati dell'11 settembre, raccontano alcuni conoscenti.
Il numero uno dei federali, James Comey, si difende: «Non ci sono indicazioni che agenti Fbi abbiano sottovalutato dettagli che avrebbero potuto prevenire il massacro». Ma ammette la difficoltà, tra migliaia e migliaia di potenziali sospetti, di individuare il potenziale 'lupo solitario', che si è radicalizzato attraverso il web. Un problema che non riguarda solo l'America. Mentre quella delle armi da fuoco è sì una emergenza tutta americana, un'epidemia. E un tema che ora infiamma una campagna elettorale per le presidenziali così come il tema dell'Islam.
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