BRUXELLES. Bruxelles mette sul tavolo la «rivoluzione copernicana» per l'uso delle risorse europee per il sostegno dei paesi di origine e transito dell'immigrazione africana.
Il 'migration compact europeo' prevede nuovi accordi di partnership, «non più aiuti ma investimenti» per aiutare ad affrontare le cause, frenare i flussi, accelerare le riammissioni non solo con accordi sulla carta. In prospettiva anche la «creazione di rotte legali» per il 'resettlement' dei rifugiati che implicano anche «maggiori capacità di accoglienza più vicine ai paesi di origine».
In più è prevista la riforma della 'Blu Card' europea per attirare i lavoratori qualificati. Negli accordi ci saranno quelli che ufficialmente vengono definiti «incentivi positivi e negativi» e che per il capogruppo del Ppe, Manfred Weber, devono essere «le conseguenze» per il mancato rispetto dei patti. In altre parole: un meccanismo bonus-malus, che - come spiegano fonti europee - implica la minaccia di ridurre i fondi per lo sviluppo e le facilitazioni tariffarie se le controparti non mantengono le promesse. «Ma confidiamo di non doverci arrivare» dice il primo vicepresidente, Frans Timmermans.
Il piano parte con 8 miliardi per l'azione immediata nei prossimi cinque anni. In autunno sarà messo a punto un 'Fondo per gli investimenti esterni' sulla falsariga del fondo Efsi creato per il 'Piano Juncker' per l'Europa. In questo caso, partendo da 3,1 miliardi nel bilancio europeo (2 mld dal Fondo europeo per lo sviluppo) e combinandoli con i (pochi) fondi pubblici africani, investimenti privati e garanzie della Bei, si potranno attivare investimenti per 31 miliardi di euro. Una cifra che potrebbe arrivare fino a 62 mld se i governi dei 28 ascolteranno l'appello della Commissione a mettere altrettanto. La proposta è stata presentata da Timmermans e dall'alto rappresentante Federica Mogherini all'Europarlamento a Strasburgo, dove è stata accolta con non poche critiche («proposta ipocrita», per il M5S, «da rivedere» per i LibDem, da respingere per la Sinistra unitaria). Una visione «ad ampio respiro, a lungo termine», la definisce invece Lady Pesc, qualcosa che «sarei stata contenta se l'avessero proposta dieci anni fa».
Il piano parte da un pacchetto di accordi con sette paesi: cinque africani (Niger, Nigeria, Mali, Senegal ed Etiopia) più Giordania e Libano. Si fonda su 500 milioni di euro 'freschì che Bruxelles aggiunge al Trust fund per l'Africa lanciato alla Valletta, più una serie di altri fondi reindirizzati per un totale di 8 miliardi tra il 2016 ed il 2020. «È un primo passo in direzione di quel cambio di rotta fortemente richiesto dall'Italia» osserva il ministro degli esteri, Paolo Gentiloni. Il problema di fondo, dicono alti funzionari europei in un briefing tecnico 'off the record' è la volontà di partecipazione degli stati membri. «Serve che rispettino gli impegni» e serve «dare sostanza» agli accordi come è stato fatto nel caso della Turchia, permettendo la nascita di una concreta politica estera europea con l'immigrazione al suo centro. Perchè in realtà, spiegano le fonti, finora le spinte sono state centrifughe: molti governi dell'Europa del sud non vogliono tagliare i fondi ai paesi del nordafrica, così come quelli del nordeuropa non vogliono prendere misure impopolari nei paesi con cui hanno rapporti diretti, ad esempio il Regno Unito col Pakistan. L'appello ai governi ad accettare una politica coordinata dalla Commissione è così ribadito più volte.
Timmermans apre l'intervento sollecitando «il pieno sostegno» del Consiglio e dei 28. Che in realtà finora, non si è materializzato nè per gli accordi di ricollocazione dei rifugiati da Grecia e Italia (fermi a poco più dell'1% delle 160mila voluti dalla Commissione) nè per le offerte per il Trust Fund per l'Africa lanciato alla Valletta a novembre scorso, al quale a fronte di 1,8 miliardi messi dalla Commissione, i 28 hanno finora contribuito con appena 81,8 milioni di euro.
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