BAGHDAD. È una resistenza accanita quella opposta dall'Isis a Falluja contro un'offensiva lanciata dalle forze lealiste irachene. Mentre si moltiplicano le testimonianze sul calvario delle decine di migliaia di civili rimasti intrappolati dai combattimenti, con un operatore umanitario che ha parlato di «catastrofe umanitaria» e l'Onu che denuncia l'impiego di «bambini soldato» da parte dei jihadisti.
Sempre civili sono le vittime di un'altra tragedia consumatasi la notte scorsa nella vicina Siria, dove decine di persone sono state uccise da attacchi aerei a Idlib per i quali organizzazioni di attivisti hanno accusato la Russia. Pronta, come in altri simili episodi passati, la reazione di Mosca. «La nostra aviazione non ha compiuto alcun raid nella provincia di Idlib», ha affermato il portavoce del ministero della Difesa, Igor Konashenkov. Sono almeno 23 i morti, tra i quali 7 bambini o ragazzi minorenni, segnalati dall'Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus) in quelli che definisce come «non meno di dieci raid russi» su Idlib, controllata da una coalizione di forze ribelli fondamentaliste e dal Fronte al Nusra, la branca siriana di Al Qaida.
Un altro raggruppamento di attivisti, Coordinamento dei comitati locali (Lcc), parla di un bilancio fino a 50 morti, precisando che i bombardamenti hanno colpito un quartiere residenziale nei pressi di due ospedali e di una moschea. In Iraq, invece, stamane un centinaio di miliziani dell'Isis ha impegnato a lungo le forze governative a Nuaimiya, una località a sud di Falluja che l'esercito ha strappato nei giorni scorsi allo Stato islamico.
Il comandante delle operazioni militari, generale Abdul Wahab al Saedy, ha detto che 75 jihadisti sono stati uccisi, grazie anche alla copertura aerea della Coalizione internazionale a guida Usa e di elicotteri iracheni. In seguito, secondo le tv panarabe al Arabiya e al Mayadeen, le forze governative hanno preso il controllo di Jisr Tuffah (Ponte della Mela), nella periferia sud di Falluja.
Intanto continuano anche i combattimenti a Saqlawiya, 13 chilometri a nord della città, che le forze lealiste stanno cercando di riconquistare con la collaborazione delle milizie di volontari sciiti sostenuti dall'Iran. In questa offensiva, infatti Teheran e gli Stati Uniti sono schierati sullo stesso fronte. Secondo il capo delle forze della polizia federale, generale Raed Shaker Jawdat, finora le forze lealiste hanno conquistato 24 villaggi intorno a Falluja. Ma sembra ancora lunga e irta di pericoli l'operazione per riprendere il controllo di questa che è stata la prima grande città a cadere nelle mani dello Stato islamico, nel gennaio del 2014. Uno dei rischi sono le possibili rappresaglie degli sciiti contro una popolazione a maggioranza sunnita, sospettata almeno in parte di essersi schierata con l'Isis. Si calcola che siano 50.000 gli abitanti rimasti intrappolati dai combattimenti. William Spindler, portavoce dell'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr), ha detto che solo 3.700 civili hanno abbandonato Falluja nell'ultima settimana. Mentre alcuni rapporti confermano che molte centinaia di famiglie sono usate come scudi umani dai jihadisti del Califfato.
Lisa Grande, numero due della missione Onu in Iraq (Unami), ha riferito che «dal racconto delle persone fuggite al personale Onu abbiamo saputo che i civili intrappolati vengono ammassati nel centro, probabilmente con lo scopo di essere usati come scudi umani». Non solo. La stessa Grande ha denunciato che l'Isis «usa i bambini come soldati». Chi ha lasciato la città parla di una popolazione terrorizzata e stremata, ridotta a mangiare l'erba, dopo che i rifornimenti di cibo e di medicinali sono stati bloccati da un assedio governativo che dura ormai da nove mesi.
«La gente mangia ogni tre giorni, non c'è acqua potabile e si teme per il rischio di diffusione di diverse malattie tra cui il colera», ha proseguito la rappresentante Onu parlando in teleconferenza con i giornalisti al Palazzo di Vetro. Mentre molte decine di civili sono stati uccisi dai bombardamenti delle forze di Baghdad durante i due anni di occupazione dell'Isis. Jan Egeland, capo del Consiglio norvegese per i rifugiati che fornisce assistenza in loco, ha avvertito che «a Falluja sta avvenendo una catastrofe umanitaria» e ha chiesto alle «parti in conflitto di garantire un esodo sicuro».
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