WASHINGTON. Prima di volare a Londra dall'alleato «speciale» e di incontrare i principali leader europei in Germania, tra cui Matteo Renzi, il presidente americano Barack Obama rilancia la lotta all'Isis. Lo fa chiedendo e ottenendo ulteriori azioni al secondo summit tra Usa e Consiglio di cooperazione del Golfo, che riunisce le monarchie sunnite della regione (Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Oman, Qatar e Bahrein). Un vertice che Riad, Paese ospitante, ha preferito tenere con un profilo basso, senza 'photo opportunity' e senza diretta delle dichiarazioni preliminari.
Ma per Obama è stata comunque un'occasione. Per ricucire l'alleanza con i propri partner nella regione, che non hanno gradito l'accordo sul nucleare con Iran sciita e la sua proposta di condividere la leadership con la rivale Teheran. E per affrontare le crisi regionali, sollecitare riforme, chiedere aperture sui diritti umani e iniziare a discutere le sfide esplosive poste dal calo del prezzo del petrolio e dall'aumento della popolazione giovanile: secondo un rapporto del centro finanziario del Kuwait, i sei Paesi dovranno chiedere in prestito tra i 250 e i 342 miliardi di dollari di euro da qui al 2020 per finanziare il loro deficit di bilancio. «Noi restiamo uniti nella nostra lotta per distruggere l'Isis, che è una minaccia per tutti noi», ha dichiarato Obama. Pur denunciando le «attività destabilizzanti» di Teheran, il presidente americano ha invitato al dialogo, sottolineando che nessun Paese dell'area ha interesse a un conflitto con l'Iran.
Teheran, ha assicurato, «gioca un ruolo responsabile nella regione», «prende misure pratiche e concrete per costruire la fiducia», «risolve le sue differenza con i vicini attraverso mezzi pacifici» e «si conforma alle leggi e alle norme internazionali». Insomma, è necessaria una «pace fredda», come hanno scritto alcuni media americani. Obama ha toccato tutti i punti caldi della regione, dalla Libia alla Siria, dall'Iraq allo Yemen, confermando la partnership strategica con i Paesi del Golfo e l'impegno a difenderli. Diversi i suoi bilaterali, tra cui spicca quello di due ore con il re dell'Arabia saudita, Salman.
«Un incontro costruttivo e fruttuoso», ha commentato il sovrano. «Una discussione molto aperta e onesta», anche su questioni diventate fonti di tensione, ha riferito ben Rhodes, il vice consigliere per la sicurezza nazionale, senza fornire altri dettagli. Alla vigilia del summit, Ryad aveva minacciato di vendere gli asset Usa se dovesse passare una legge che consente ai famigliari delle vittime dell'11/9 di citare in giudizio il governo saudita per eventuali responsabilità. Obama si era detto contrario, ma aveva aperto sulla possibilità di desecretare le 28 pagine ancora top secret sugli attentati. Alla fine il summit ha partorito un documento comune che rafforza la reciproca collaborazione per stabilizzare la regione: aumentando gli sforzi nella lotta all'Isis, sostenendo la stabilizzazione dell'Iraq, consolidando la tregua in Siria e difendendo il processo di transizione politica con l'uscita di scena di Assad.
E anche sostenendo il nuovo governo libico e una soluzione politica nello Yemen dopo la cessazione delle ostilità. Infine appoggiando un durevole e completo accordo di pace nel conflitto israelo-palestinese. Apertura a Teheran, ma restando vigili sulle attività destabilizzanti iraniane, come il programma missilistico. Su questo fronte è stato deciso di realizzare un sistema di allerta contro i missili balistici. Da marzo prossimo, inoltre, con i Paesi del golfo ci saranno le prime esercitazioni militari comuni.
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