NEW YORK. È stato il duello più combattuto tra Hillary Clinton e Bernie Sanders dall'inizio della campagna elettorale. E non poteva essere diversamente a cinque giorni dalle primarie di New York. Una vittoria dell'ex first lady - che l'ultimissimo sondaggio del Wall Street Journal dà in vantaggio di 17 punti - potrebbe quasi chiudere i giochi per la nomination in campo democratico. Sanders lo sa e parte subito all'attacco, insistendo sul tema a lui più caro: «I milionari non possono comprare le elezioni». E punta il dito proprio sulla Clinton, accusata di prendere i soldi da Wall Street attraverso i super comitati elettorali. I cosiddetti Super Pac che hanno raccolto decine di milioni di dollari dalle grandi imprese americane per finanziare la campagna dell'ex segretario di Stato. Hillary non ci sta, e il clima sul palco del Navy Yard di Brooklyn si scalda immediatamente. Si difende mettendo avanti il suo curriculum di senatrice di New York prima e di capo della diplomazia Usa dopo, e accusando l'avversario di travisare la realtà. Anche Barack Obama - ricorda la Clinton - è ricorso ai finanziamenti dei Super Pac, ma poi questo non gli ha impedito di fare la riforma di Wall Street. Ma Sanders - in partenza per l'Italia dove parteciperà a un evento in Vaticano - insiste. E Hillary non riesce come vorrebbe a dare il colpo del ko. Ma appare un pò in difficoltà quando gli si chiede conto del fatto che non vuole rendere pubblici i suoi discorsi pagati a peso d'oro da banche come Goldman Sachs. «Quando tutti lo faranno - risponde alla fine - lo farò anche io». Bernie - che ha gran parte del pubblico dalla sua - la schernisce: «Io pubblicherò tutte le trascrizioni dei miei discorsi su Wall Street, pronunciati non per 200 mila dollari, nè per 200 dollari, nè per 2 centesimi». E il senatore annuncia anche che manterrà la promessa di pubblicare le sue denunce dei redditi nelle prossime ore. «Ma non vi eccitate - scherza - si tratta di dichiarazioni molto noiose.Le prepara mia moglie. Non ci sono soldi fatti con discorsi a pagamento, nè investimenti importanti. Sfortunatamente resto uno dei senatori più poveri». L'ex segretario di Stato si rifa quando attacca Sanders sul tema della violenza delle armi, definendolo «un fedele sostenitore della Nra», la potente lobby americana delle armi da fuoco, per aver respinto più volte la legge che aumenterebbe le responsabilità anche dei produttori e dei rivenditori di pistole e fucili: «Parli tanto dell'avidità e della sconsideratezza di Wall Street. Ma che dici dell'avidità e della sconsideratezza di molti produttori e rivenditori di armi?». È anche la politica estera a dividere i due candidati, con Hillary che non si ritiene responsabile della situazione di caos creatasi in Libia dopo la caduta di Gheddafi e Sanders che l'accusa di aver voluto un cambio di regime, lo stesso sbaglio che fu compiuto in Iraq. Entrambi d'accordo invece sul fatto che gli alleati europei dovrebbero contribuire di più alle spese per la sicurezza all'interno della Nato. Mentre a Brooklyn sono scintille, a Manhattan scende in strada il popolo anti-Trump, che si ritrova a protestare davanti all'albergo di Midtown dove si svolge un gala con i candidati repubblicani. Alla fine si contano una decina di arresti. Con il tycoon che invece intasca l'endorsement di uno dei due più popolari tabloid della Grande Mela, il New York Post, che lo definisce come «il candidato che meglio incarna i valori newyorchesi, offrendo speranze a tutti gli americani che giustamente si sentono ingannati dalla classe politica».