IL CAIRO. Non sono stati i servizi segreti egiziani ad uccidere Giulio Regeni, nonostante le «menzogne» fatte circolare da «gente malvagia». Anzi, il presidente Abdel Fattah Al Sisi rivendica piena «trasparenza» da parte egiziana, e invita gli inquirenti italiani a tornare al Cairo per indagare ancora sulla morte del giovane ricercatore friulano. Mentre a Roma si studiano nuove misure per fare pressioni sull'Egitto dopo il richiamo dell'ambasciatore Maurizio Massari, il capo di Stato egiziano continua categoricamente a scartare la pista di un omicidio di Stato. Certo, ha ammesso al Sisi, il caso Regeni è «un problema» per l'Egitto, ma a crearlo è stato qualche «malvagio» che ha diffuso su media e social network accuse infondate sugli apparati di sicurezza del Paese. «Dobbiamo stare attenti alle menzogne» propalate da «persone attorno a noi, noi egiziani», ha detto Sisi incontrando in Parlamento esponenti di partiti politici, sindacati, organizzazioni varie e giornalisti di spicco. «Appena è stato annunciato l'omicidio», ha accusato Sisi, «ci sono state persone fra noi che hanno detto che sono stati gli apparati di sicurezza»: insomma «che l'abbiamo ucciso noi. Sulle reti sociali molte persone ne hanno parlato e molti professionisti dei media hanno pubblicato la notizia», ha ricordato ancora il presidente, parlando a questo proposito di «gente malvagia» senza precisare meglio. Dal contesto del lungo passaggio del discorso appare chiaro che Sisi non ha lasciato intendere di sapere chi ha torturato a morte Regeni. In ogni caso, «siamo noi che abbiamo creato questo problema per l'Egitto», ha sostenuto ammonendo i giornalisti: «I social media non devono essere le vostre fonti». Il presidente si è mostrato convinto dell'innocenza degli apparati egiziani, ha porto nuovamente le condoglianze ai genitori di Regeni e ha evocato ancora una volta il caso dell'egiziano scomparso a Roma («un figlio che si chiama Adel. È scomparso là»). L'Egitto, ha comunque assicurato Sisi, ha «grande interesse» a trovare gli assassini del ragazzo per tutelare le «relazioni privilegiate» con l'Italia, Paese che a suo dire nel 2013 si pose «al fianco dell'Egitto» nell'abbattimento del governo islamista di Mohamed Morsi. Un interesse che per ora l'Italia ha giudicato scarso, al punto che venerdì è stato richiamato a Roma per consultazioni l'ambasciatore al Cairo e anche il pool di inquirenti italiani, dopo due mesi, ha lasciato la capitale egiziana. Proprio agli investigatori di Ros e Sco, Sisi ha lanciato un appello a tornare: «Siate con noi. Noi trattiamo le questione in tutta trasparenza». Ieri il ministro degli Esteri Sameh Shoukry ha lasciato filtrare uno spiraglio sulla richiesta più importante degli inquirenti italiani: quei tabulati telefonici delle zone dove è scomparso Regeni quel maledetto 25 gennaio per i quali invece la procura generale egiziana aveva opposto un netto rifiuto. Ma per adesso non c'è nulla di concreto e non si capisce se sia un'effettiva mano tesa o una manovra per prendere ancora tempo. Intanto anche Bruxelles si schiera dalla parte di Roma. La portavoce dell'Alto rappresentante Federica Mogherini oggi ha fatto sapere che «il caso è sollevato ad ogni livello» nei contatti con l'Egitto e ha ribadito che la Ue «è pronta ad esplorare i modi migliori» per aiutare l'Italia. Mentre nel turno di domenica 24 aprile, ha annunciato il senatore Luigi Manconi, in tutti gli stadi di calcio di serie A e B, verranno esposti gli striscioni gialli che chiedono «Verità per Giulio Regeni». Verità molto difficile da raggiungere se, come ha ipotizzato l'ex capo del Ros Mario Mori in un lettera pubblicata dal 'Fogliò, Regeni «probabilmente» è stato vittima di «regolamenti di conti che sono in atto nei centri del potere egiziano».