ROMA. Il vertice tra gli inquirenti e gli investigatori italiani ed egiziani che indagano sulla scomparsa e sulla morte di Giulio Regeni si terrà a Roma il 7 e l'8 aprile prossimi. Sempre che Il Cairo non decida di cambiare nuovamente le carte in tavola: la settimana scorsa c'è stata una richiesta di un rinvio di un paio di giorni per mettere a punto i documenti da consegnare alle autorità italiane - almeno questa è la versione fornita - ed oggi, per tutto il pomeriggio, si sono rincorse voci di un nuovo stop da parte degli egiziani, con un rinvio dell'incontro a data da destinarsi. Un'ipotesi che nè tra gli inquirenti nè tra gli investigatori italiani, che in mattinata avevano ricevuto l'ultimo via libera e confermato ufficialmente l'appuntamento, ha trovato una qualche conferma. In serata, inoltre, fonti dell'ambasciata italiana al Cairo hanno fatto filtrare che «per ora» l'incontro è confermato e anche l'Egitto ha ufficialmente smentito ogni ipotesi di rinvio. «Le notizie pubblicate sull'annullamento della visita dagli inquirenti egiziani in Italia - ha detto il capo dell'ufficio della cooperazione internazionale della procura egiziana Kamel Samir Girgis - sono false e destituite di ogni fondamento. La delegazione partirà mercoledì prossimo per l'Italia per incontrare gli inquirenti italiani». Stando alle versioni ufficiali, dunque, la due giorni di lavoro in programma giovedì e venerdì sarà l'occasione, «nel quadro della cooperazione internazionale», per fare «un punto di situazione sulle indagini svolte» dalle autorità del Cairo «ed esaminare la relativa documentazione». Per l'Italia ci saranno il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco, che lo scorso 14 marzo incontrarono il procuratore generale egiziano Nabil Ahmed Sadek, funzionari del Ros e dello Sco. La delegazione egiziana sarà composta da due magistrati, il procuratore generale aggiunto del Cairo, Mostafa Soliman, e il procuratore dell'Ufficio di cooperazione internazionale della procura generale Mohamed Hamdy El Sayed, e da tre ufficiali di polizia. Si tratta del generale Adel Gaffar della National Security, del brigadiere generale Alal Abdel Megid dei servizi centrali della polizia egiziana e di Mostafa Meabed, vicedirettore della polizia criminale del governatorato di Giza, il luogo dove è stato ritrovato il corpo di Giulio Regeni e la cui procura è titolare del fascicolo d'indagine. L'incontro rappresenta uno spartiacque per l'inchiesta ma, soprattutto, per i rapporti tra i due Paesi. Ed è per questo che, qualora dovesse saltare, l'Italia dovrà rispondere adeguatamente. Come chiesto dalla mamma di Giulio Regeni nella conferenza stampa di una settimana fa al Senato: «se sarà una giornata vuota - disse Paola Regeni - ci aspettiamo una risposta forte, molto forte da parte del Governo». Magistrati e investigatori si augurano che questo non accada e che, invece, «l'esaustivo dossier» di duemila pagine promesso dal Cairo sia realmente completo, a differenza delle 91 pagine consegnate al procuratore Pignatone nella sua visita del 14 marzo. Qualcosa, però, si può già capire. Stando infatti alle indiscrezioni uscite sui media del Cairo, il dossier sarebbe composto di tre parti: una riguarderebbe i movimenti dei colleghi di Regeni subito dopo la scoperta dell'omicidio; un'altra le indagini svolte sugli incontri del ricercatore con sindacalisti indipendenti e ambulanti; una terza, infine, la grottesca vicenda della banda di truffatori e dei documenti di Giulio trovati a casa della sorella del capo dell' organizzazione, morto assieme a tutti gli altri membri in una sparatoria con le forze di sicurezza. I giornali egiziani scrivono anche che tra i documenti ci saranno circa duecento testimonianze raccolte in questi due mesi, tra cui quelle dei vicini di casa e dei suoi amici al Cairo, le informazioni trovate dall'analisi del portatile - e ci sarebbe da chiedersi quando le avrebbero fatte, queste analisi, visto che il pc di Giulio è nelle mani degli inquirenti italiani prima ancora del ritrovamento del corpo - diverse foto e «tutte le indagini su Regeni dal suo arrivo al Cairo fino alla sua scomparsa» svolte dai servizi segreti dopo il suo omicidio. A meno che non si voglia credere che l'Egitto sia pronto ad ammettere che spiava Giulio e che sono stati i suoi apparati ad ucciderlo. Un lungo elenco che, fanno notare qualificate fonti italiane, guardacaso non indica proprio quei due elementi fondamentali che l'Italia ha chiesto e sta continuando a chiedere da più di un mese: i tabulati telefonici di una decina di persone che prima della scomparsa aveva rapporti con Giulio (coinquilini, vicini di casa, esponenti di sindacati indipendenti e ambulanti, amici del ricercatore) e l'analisi del traffico registrato il 25 gennaio dalle celle telefoniche attorno all'abitazione di Regeni e il 3 febbraio dalle celle nella zona del ritrovamento. Se non ci saranno quei documenti, vorrà dire che l'Egitto avrà alzato soltanto l'ennesimo polverone per prendere tempo.