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L'Egitto apre su Regeni: indagini aperte, vi daremo gli atti

ROMA. Le indagini sulla morte di Giulio Regeni sono ancora in corso e "c'è piena cooperazione tra il ministero degli Interni e gli inquirenti italiani". Con queste parole il ministro dell'Interno egiziano Magdi Abdel-Ghaffar ha provato a stemperare l'ira italiana dopo il tentativo di attribuire la morte del ricercatore italiano ad una banda di delinquenti comuni.

Che l'Egitto voglia cambiare rotta ed aprirsi ad una maggiore collaborazione con gli investigatori italiani si capisce anche da una telefonata del procuratore generale della repubblica egiziana fatta oggi a Giuseppe Pignatone, il magistrato che ha in carico il delicato dossier del rapimento e dell'omicidio del ricercatore italiano. Una telefonata di sostanza, nella quale gli inquirenti egiziani avrebbero assicurato a Pignatone che consegneranno tutta la documentazione richiesta e quella ulteriormente raccolta.

E proprio su questa documentazione che da giorni si sta sviluppando un pericoloso braccio di ferro tra Roma e il Cairo: si tratta, in sostanza, delle immagini di video-sorveglianza delle telecamere che si trovano nelle vicinanze della casa di Regeni al Cairo e delle due stazioni della metropolitana, quella della partenza e dell'arrivo, che il giovane avrebbe dovuto utilizzare la sera del 25 gennaio, quando è scomparso. Oltre, naturalmente, ai tabulati delle celle telefoniche che impegnano il 25 gennaio la zona dell'abitazione di Regeni e quelle del 3 febbraio della zona dove è stato ritrovato il corpo.

Indagini che quindi sono ancora del tutto aperte e che vanno avanti, secondo la procura del Cairo, in ogni direzione e non solo sulla pista della criminalità comune. Precisazioni necessarie visto il clima caldissimo che in Italia alimenta polemiche quotidiane e rischia di rovinare ulteriormente le relazioni tra Italia ed Egitto. Il caso Regeni infatti è anche una partita di poker ancora tutta aperta con una dead line non ufficialmente dichiarata: quella del 5 aprile quando gli investigatori egiziani saranno a Roma per incontrare i colleghi italiani. In questi giorni si vedrà la reale volontà di collaborare dell'Egitto.

"Stiamo scambiando informazioni su questo caso continuamente e qui al Cairo c'è una delegazione di sicurezza italiana incaricata di seguire l'indagine passo per passo", ha ricordato il ministro dell'Interno Ghaffar aggiungendo che "la cooperazione con la parte italiana è naturale in quanto il caso è molto difficile e avvolto nel mistero da ogni lato". Anche se frammenti di irritazione emergono dall'Egitto: "non abbiamo l'abitudine di cambiare" posizion, ha detto il ministro aggiunto dell'Interno per l'informazione e le relazioni esterne, il generale Abu Bakr Abdel Kerim riferendosi ad una intervista rilasciata dal ministro Angelino Alfano.

In attesa della visita degli inquirenti egiziani c'è da registrare anche l'attivismo dei genitori di Giulio che domani saranno in conferenza stampa al Senato in compagnia dei loro legali e di un rappresentante di Amnesty international. Il caso Regeni infatti ha superato i confini nazionali e trova molta eco anche all'estero, in particolare negli Stati Uniti. "E' tempo di rivedere i rapporti con l'Egitto", scrive infatti oggi il New York Times aggiungendosi ad una analoga richiesta inviata la settimana scorsa dal Washington Post. Forse non solo all'Italia si riferiva il ministro dell'Interno Magdi Abdel-Ghaffar quando sottolineava che il caso di Giulio Regeni è diventato "molto difficile" a causa di "campagne ostili" condotte soprattutto dai media per sollevare dubbi sugli sforzi profusi dal suo dicastero per risolverlo.

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