WASHINGTON. E poi ne rimasero quattro. Mentre in 'casa repubblicana' tutto intorno è terremoto, si sono sfidati a Detroit in diretta tv i contendenti Gop Donald Trump, Ted Cruz, Marco Rubio e John Kasich arrivati fin qui, all'undicesimo duello televisivo che vede ancora una volta il miliardario di New York, ormai indiscusso sebbene osteggiato frontrunner, come protagonista pressochè assoluto. E questo nonostante i contenuti manchino ancora, nonostante continuino gli attacchi personali e gli insulti, fino anche al rimpallo di battute a doppio senso che non si vedono nemmeno nel cortile di una scuola.
Così il 'caso Gop', sollevato adesso con forza dai vertici del partito e con Mitt Romney a farsi portavoce del corale appello anti-Trump, non si scioglie nemmeno sotto le telecamere Fox, puntate anche sul primo faccia a faccia tra il tycoon e la sua 'nemica' giornalista, Megyn Kelly, dopo la guerra tra i due che aveva portato Trump a boicottare un precedente dibattito organizzato dal network. Tra loro adesso solo convenevoli («Un piacere essere qui con te Megyn, ti trovo bene»), mentre sono subito scintille tra Rubio e Trump, con il senatore di origini cubane che cede alla tentazione di sfidare il re del mattone sul suo stesso terreno e parte con gli attacchi personali. Tra le altre cose Rubio accusa Trump di produrre una sua linea di abbigliamenti in Messico e Cina, Trump ribatte: Rubio «non ha mai creato un posto di lavoro in vita sua».
Il miliardario di New York chiama il giovane senatore «piccolo Marco» e incalza su una battuta a doppio senso di Rubio nei giorni scorsi circa le mani 'piccolè di Trump: «garantisco che non c'è nessun problema», dice. Questo mentre Ted Cruz resta a guardare, così quando interviene quasi sembra portare lui 'saggezzà nel dibattito, serietà e concretezza perfino. È infatti Cruz, seguito però a ruota da Rubio, a sollevare il caso dell'intervista off the record al New York Times.
Un colloquio con l'editorial board del giornale in realtà in cui, a quanto emerge, Trump si sarebbe detto flessibile su alcune sue posizioni, anche su quel muro che si dice così determinato a costruire alla frontiera con il Messico. Loro vogliono che il colloquio sia pubblico, Trump dice di no. Non ne esce bene, ma avanza spedito. E intanto Kasich appare serissimo e posato, encomiabile per la sua tenacia ad andare fino in fondo nonostante i risultati limitati, anche nel Super Tuesday appena passato. Ma se il Paese e il partito repubblicano sono in subbuglio, sul palco a Detroit guardando dritto in camera i quattro repubblicani sembrano rientrare nei ranghi, quando affermano quasi all'unisono che alla fine, se davvero Donald Trump otterrà la nomination, saranno pronti a sostenerla. Uno sforzo di responsabilità a quanto pare, nella speranza che a qualcosa sia servito 'scomodarè Mitt Romney per additare Trump come il candidato sbagliato. L'opinione di Trump a riguardo è chiara e la ribadisce in diretta tv: Romney «è un candidato fallito, vuole tornare in campo».
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