Mercoledì 18 Dicembre 2024

Crisi siriana, Obama a Putin: sì al cessate il fuoco, ma basta bombe sui ribelli

ROMA. Stati Uniti e Russia tentano una nuova mediazione per risolvere la crisi siriana. Barack Obama e Vladimir Putin ne hanno parlato ieri al telefono concordando una maggiore cooperazione per raggiungere il cessate il fuoco, ma a patto - ha avvertito il presidente americano - che Mosca fermi i raid contro i ribelli. Sul terreno, nonostante l'accordo di Monaco, il conflitto non accenna a fermarsi, anzi cresce la tensione tra il regime di Damasco e la Turchia - che nel frattempo bombarda i curdi - e tra Arabia Saudita e Iran. Il nemico comune, almeno sulla carta, resta l'Isis. Così Obama e Putin in colloquio telefonico - su iniziativa della Casa Bianca, precisa il Cremlino - hanno deciso di stabilire stretti contatti tra il ministero della Difesa russo e il dipartimento della Difesa statunitense per debellare la minaccia jihadista. Washington e Mosca si sono impegnate anche ad intensificare la cooperazione tra le rispettive agenzie ed altre strutture per l'attuazione dell'accordo raggiunto giovedì a Monaco dal Gruppo Internazionale di Supporto sulla Siria, che prevede l'avvio della tregua dal 19 febbraio. Su un punto, però, Obama è stato netto: la Russia «deve giocare ora un ruolo costruttivo, ponendo fine alla campagna aerea contro le forze dell'opposizione moderata in Siria». Sul campo, proseguono massicce le operazioni militari su tutti i fronti. Le forze governative avanzano verso Raqqa, la "capitale" dell'Isis in Siria, ed hanno annunciato di aver conquistato delle alture strategiche nell'ovest della regione. Allo stesso tempo, la Turchia sta bombardando le postazioni curdo-siriane del Pyd, che nei giorni scorsi si sono impadronite della base aerea di Menagh, 30 chilometri a nord di Aleppo, approfittando dell'offensiva del regime. Damasco ha accusato Ankara di aver colpito anche le postazioni del proprio esercito e di aver sconfinato con un centinaio di soldati e veicoli armati. L'offensiva turca ha provocato anche la reazione della Francia, che ha chiesto la fine dei bombardamenti. Da Ankara, però, è arrivata una doccia fredda. Il premier Ahmet Davotoglu, parlando con la cancelliera tedesca Angela Merkel, ha fatto sapere che proseguiranno gli attacchi contro i curdi-siriani, accusati di essere «terroristi» collegati al Pkk turco. Sul fronte anti-Assad, l'Arabia Saudita continua ad affilare le armi. I suoi caccia sono arrivati nella base Nato di Incirlik in Turchia per partecipare ai raid contro l'Isis e nel frattempo Riad sta preparando un'offensiva di terra. Ufficialmente, per sconfiggere lo Stato islamico, ma sottotraccia anche per favorire l'uscita di scena del presidente siriano, in chiave anti-sciita. In questo senso, ha assicurato il ministro degli Esteri saudita Adel al-Jubeir, la sua caduta è questione di tempo e a nulla varranno i tentativi di salvarlo di Russia e Iran. Immediata la replica di Teheran: «Non lasceremo che la situazione in Siria vada come vogliono le nazioni ribelli, prenderemo le misure necessario in tempo», ha assicurato il vicecapo di Stato maggiore, ammonendo i sauditi sul prospettato invito di truppe di terra. Da Mosca, il premier russo Dmitri Medvedev, che ieri aveva agitato lo spettro di una nuova Guerra Fredda, è stato ancora più chiaro: «Assad è l'unica autorità legittima al momento: allontanarlo porterebbe al caos», così come è successo in Libia con la caduta di Gheddafi, e Mosca questo non lo vuole. La rimozione di Assad è la precondizione posta anche dalle opposizioni in esilio, che quindi hanno bocciato l'intesa di Monaco, rendendo ancora più aleatorio un vero cessate il fuoco per la prossima settimana. Per l'Alto rappresentante Ue Federica Mogherini, in ogni caso, la riunione di Monaco «non è stata un fallimento» e agevolerà se non altro l'invio di aiuti umanitari. I primi convogli verso le città ed i villaggi assediati, ha reso noto oggi l'inviato dell'Onu Staffan De Mistura, dovrebbero partire entro martedì o mercoledì.

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