WASHINGTON. "They've all come to look for America" di Simon e Garfunkel e la folla accorsa ad ascoltare Bernie Sanders. «Favoloso lo adoro!». Esclama più energica che mai Hillary Clinton davanti allo spot dello sfidante: «Si fa campagna elettorale con poesia, ma si governa in prosa. Abbiamo bisogno di molta più poesia in questa campagna. Ma sono io la persona migliore per essere commander in chief». Così, galvanizzata come non la si vedeva da tempo, Hillary Clinton tenta il tutto e per tutto nell'ultimo dibattito tv prime delle primarie. Sarà stata la formula (non tutti contro tutti ma interventi singoli), o quel 'quasì endorsement di Barack Obama giunto, graditissimo, da poche ore e già diventato bandiera, ma la ex first lady sembra entusiasmare come poche volte fino ad ora. Eppure lo sfidante da sinistra Sanders le dà filo da torcere. Anche lui è al meglio, a suo agio circondato dai votanti dell'Iowa, gli stessi che tra meno di una settimana esprimeranno il primo verdetto nel test che dà il via alle primarie e quindi al processo di voto nella corsa verso la Casa Bianca. Pacato ma determinato, il senatore del Vermont non si tira indietro, difende il suo lungo impegno in politica e afferma: «Ho l'esperienza e la capacità di giudizio per fare il presidente», prima di spiegare quel termine, 'socialismò, cui con audacia non rinuncia nelle sue aspirazioni presidenziali: «Non possiamo continuare ad avere un governo dominato da miliardari e un Congresso che lavora per gli interessi di pochi», dice, «Se siamo seri nel voler ricostruire la classe media americana milioni di americani devono dire basta ed esigere che Washington rappresenti tutti e non solo pochi». E sul successo in parte inaspettato della sua campagna osserva: «tocca un nervo scoperto» per gli americani: «l'establishment non va più bene, c'è bisogno di una rivoluzione politica». Gli attacchi ci sono, ma mai personali. Sono sui dossier: il voto sull'intervento in Iraq e Wall Street le principali differenze da Hillary Clinton che Sanders vuole evidenziare. Poi la riforma sanitaria, oltre Obamacare, per l'assistenza universale. Per il resto è bando ai colpi bassi. Il terzo contendente, l'ex governatore del Maryland Martin ÒMalley, sembra un intermezzo (del resto è al 2%), poi è la volta di Hillary. Lei resta in piedi, è vestita di rosso. Sorride, anzi ride. E cita Obama, spesso. «Sono stata molto toccata e gratificata» dalle parole del presidente, che in una recente intervista mette in luce le qualità della ex segretario di Stato, l'esperienza soprattutto che le riconosce e che è cavallo di battaglia della candidata. «Lui questo lavoro lo conosce, sa quanto è difficile», aggiunge Hillary. Poi la difesa del suo lavoro, a spada tratta: «Sono in giro da molto tempo e ho ricevuto molti attacchi, ma resto in piedi e vado avanti». E il presidente che più la ispira: «Mi spiace presidente Obama, mi spiace Bill... è Abraham Lincoln».