ROMA. In Siria «la pressione va concentrata su due fronti: coinvolgere il regime di Assad nell'apertura di corridoi umanitari e, con l'avvio del negoziato, ottenere cessate il fuoco che possano attenuare la tragedia in corso». Così il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, intervistato in apertura da Avvenire, sottolinea che «se parte il tavolo del negoziato a Ginevra l'obiettivo di porre fine alla guerra entro quest'anno diventa realistico». Il ministro spiega che «il dramma umanitario» dei siriani è «davanti agli occhi di tutti. In queste settimane abbiamo partecipato alle operazioni quando si sono create le condizioni per aprire corridoi umanitari», precisa. Tuttavia «negli ultimi mesi la disponibilità del regime siriano ad aprire vie d'entrata si è rivelata piuttosto limitata. In Siria si muore per la guerra. Le sanzioni possono essere discutibili e noi italiani siamo sempre stati prudenti nel considerarle risolutive», aggiunge. «Attenzione quindi a non spostare il bersaglio da chi ha la responsabilità di questa situazione: il regime di Bashar al-Assad, Daesh, al-Nusra, i terroristi». Il terzo negoziato di Ginevra non può fallire, rimarca, «perchè finalmente si è riconosciuto un principio che l'Italia, il governo, la società civile, la Chiesa, sostengono da sempre: cioè che l'idea di una soluzione solo militare del conflitto sia un'illusione. Si è accettata l'idea che il regime e chi lo avversa possano sedersi a trattare. E superare, con un governo più inclusivo, l'attuale dittatura. Con la transizione che prevede la fuoriuscita di Assad senza la creazione di un vuoto». Il ministro interviene anche sulla Libia dove, sottolinea, occorre «evitare uno Stato fallito, mantenere la sua unità e consolidare le sue istituzioni. Non ci rassegniamo all'idea che, non essendoci invece alcun governo libico, ci sia una sorta di grande Somalia al di là del Canale di Sicilia. Terreno di scorribande di gruppi criminali e terroristi contro i quali le potenze europee intervengono solo con i raid aerei da 10mila metri di altezza. Non si tollererà, poi naturalmente se dalle parti libiche non ci sarà alcuna possibilità di pervenire ad un accordo e se la situazione sarà appunto quella di una Somalia a due-trecento chilometri da casa allora l'Italia ha il diritto e il dovere di difendersi e valutare come farlo».