WASHINGTON. È ormai sera a Vienna quando l'Aiea (l'agenzia dell'Onu per l'energia atomica), dopo l'annuncio di un clamoroso scambio di prigionieri tra Washington e Teheran, dà disco verde all'entrata in vigore dello storico accordo sul nucleare iraniano confermando che il Paese degli ayatollah ha rispettato tutti i suoi obblighi. Passano pochi minuti e quasi contemporaneamente Ue, Usa e Onu annunciano la revoca delle pesanti sanzioni internazionali, che consentiranno a Teheran di recuperare oltre 100 miliardi di asset congelati all'estero e di spalancare le sue porte al mercato petrolifero, finanziario e commerciale. Un accordo "storico, forte e giusto" ha commentato il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, in una conferenza stampa a Vienna con il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif, con cui ha condiviso un successo frutto di "volontà politica, perseveranza e di una diplomazia multilaterale". Anche segretario di Stato Usa John Kerry, in una conferenza stampa separata, ha elogiato "il potere della diplomazia nell' affrontare sfide significative", poco dopo che Obama aveva firmato l'ordine esecutivo per revocare le sanzioni. Plauso anche dal segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon: "è un traguardo significativo che riflette lo sforzo e la buona fede di tutte le parti per rispettare gli impegni presi". Ma non tutti sono contenti di quella che il presidente iraniano Hassan Rohani ha twittato come »una vittoria gloriosa« di Teheran. Israele resta preoccupata: »anche dopo aver firmato l'accordo sul nucleare, l'Iran non ha abbandonato le sue ambizioni di acquisire l'arma nucleare e continua a lavorare per destabilizzare il Medio Oriente mentre esporta terrorismo in tutto il mondo, in violazione con i suoi obblighi internazionali«, accusa il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Pure i Repubblicani Usa danno battaglia: »oggi l'amministrazione Obama comincia a togliere le sanzioni economiche contro il principale Stato che sostiene il terrorismo nel mondo«, ha osservato Paul Ryan, lo speaker della Camera (dominata dai Repubblicani), sostenendo che »molto probabilmente« Teheran approfitterà della nuova manna finanziaria per continuare »a finanziare il terrorismo«. Se lo storico »Implementation day« era atteso da giorni, è arrivato invece a sorpresa l'annuncio dell'altrettanto storico scambio di prigionieri tra Usa e Iran, degno dei tempi della guerra fredda. Anche questa un'operazione già diventata terreno di scontro elettorale in America alla vigilia delle primarie. Tanto da indurre l'amministrazione Obama a precisare che non si è trattato di un tradizionale »scambio di spie« ma di un »gesto umanitario«, dopo 14 mesi di trattative segrete che si sono chiuse solo nelle ultime 24 ore, non senza retroscena. È stata l'agenzia semi ufficiale Fars a comunicare per prima la liberazione di quattro cittadini statunitensi, incluso Jason Rezaian, il capo dell'ufficio di Teheran del Washington Post, detenuto da oltre 18 mesi e condannato per spionaggio in un controverso processo a porte chiuse. Gli altri tre rilasciati, anche loro come Rezaian con la doppia cittadinanza americana e iraniana, sono Saeed Abedini, un pastore cristiano, Amir Hekmati, un ex Marine, e Nosratollah Khosravi-Roodsari, un imprenditore. È stato annunciato il rilascio anche un quinto americano che non rientrava nell'accordo, Matthew Trevithick, uno studente incarcerato nei mesi scorsi. Washington, dal cantosuo, si è impegnata a liberare sette iraniani, di cui sei con doppia cittadinanza, detenuti per violazione delle sanzioni americane a Teheran. Gli Usa hanno fatto altre concessioni, lasciando cadere le accuse e i mandati di cattura internazionali per una ventina di iraniani accusati di aver violato le sanzioni americane per aver aiutato Teheran a procurarsi tecnologia e merci Usa. Tra i retroscena, veri o presunti, dei negoziati per lo scambio dei prigionieri, il congelamento delle nuove sanzioni Usa ventilate contro Teheran per i suoi recenti test di missili balistici. La decisione di ritardare le sanzioni sarebbe stata presa dopo una telefonata di Zarif, il quale avrebbe ammonito Kerry che la mossa avrebbe potuto far saltare tutta l'operazione. Anche questo risvolto, se confermato, diventerà oggetto di polemica elettorale. Ma i candidati della destra hanno già colto la palla al balzo. Il magnate Donald Trump boccia lo scambio usando il pallottoliere: »Loro stanno ottenendo sette persone, quindi essenzialmente ottengono 150 miliardi di dollari più sette, e noi ne otteniamo quattro (prigionieri, ndr). Non suona troppo bene«, ha detto, definendo in ogni caso »una disgrazia« il fatto che »siano rimasti lì così a lungo«. Il senatore del Texas Ted Cruz ha sollevato dubbi su possibili dettagli ancora non noti dell'accordo. Gli ha fatto eco il senatore della Florida Marco Rubio: »L'Iran prende in ostaggio per ottenere concessioni«. Intanto Obama ha giocato d'anticipo sulla revoca delle sanzioni all'Iran, conferendo a Kerry il potere di togliere l'ultradecennale bando sull'export di aerei passeggeri civili, che consentirà alla Boeing di vendere i suoi jet: una mossa per non restare spiazzato dal pre-accordo tra l'Iran ed il colosso europeo Airbus per l'acquisto di 114 aerei di linea.