GIACARTA. Esplosioni, scontri a fuoco, attentatori suicidi: a Giacarta è stata una mattinata di guerra "in stile Parigi", con una serie di attacchi terroristici che hanno provocato la morte di due civili e di cinque attentatori. Le violenze sono state rivendicate dall'Isis, che in Indonesia può contare solo su pochi seguaci. Ma sono in crescita, e gli avvenimenti di oggi - i primi attentati nella capitale dal 2009 - fanno temere che l'attrattiva del Califfato possa portare ad ulteriori attacchi nel Paese con la più alta popolazione di musulmani al mondo. Tutto è successo poco dopo le 11 nella zona di Jalal Tahrim, un viale nel quartiere delle ambasciate e dello shopping, con diversi hotel di lusso. All'esterno di un caffè Starbucks, un kamikaze si è fatto saltare in aria, uccidendo altre due persone, tra cui un canadese. Altri militanti hanno attaccato una postazione della polizia, ingaggiando poi una sparatoria con gli agenti. Al termine di due ore di tensione, che hanno tenuto bloccate le persone nei loro uffici e nell'adiacente centro commerciale Sarinah, le autorità hanno dichiarato conclusa l'emergenza. "Abbiamo identificato gli attentatori: erano affiliati con l'Isis", ha annunciato nel pomeriggio il portavoce della polizia nazionale, aggiungendo che "volevano imitare gli attacchi di Parigi".
Poco prima, era giunta la rivendicazione dell'agenzia di stampa Aamaaq, network di propaganda legato allo Stato islamico. A dicembre dal Califfato era giunto un criptico messaggio in cui si minacciava l'Indonesia con un "concerto" che l'avrebbe messa "sotto i riflettori". Ieri, inoltre, una minaccia era arrivata anche dal leader di Al Qaeda, Ayman al-Zawahiri. Ma l'influenza dell'organizzazione nell'arcipelago, dove una volta poteva contare sulla rete della Jemaah Islamiya, è considerata da tempo in declino. Il bilancio relativamente leggero dell'attentato è considerato un epilogo fortunoso dagli analisti. Nella successiva perquisizione dello Starbucks colpito, la polizia ha ritrovato altri ordigni. Il tutto fa pensare a una certa inesperienza degli attentatori, un quadro compatibile con la descrizione dei seguaci indonesiani dell'Isis fatta già nei mesi scorsi dai principali esperti di sicurezza. Nonostante la partenza per la Siria e l'Iraq di centinaia di militanti nell'ultimo anno, solo poche decine sono tornati in patria. La preoccupazione è però che "aspiranti terroristi", affascinanti dalla rapida ascesa del Califfato, stiano cercando di dimostrare la propria fedeltà con altri attacchi nell'arcipelago.
Prima di Capodanno, la polizia di Giacarta aveva già messo in guardia da possibili attacchi nella capitale. Il tutto mentre sull'isola di Sulawesi è stata finora infruttuosa la caccia a Santoso, considerato il terrorista indonesiano più pericoloso ancora in libertà, e anche lui fedele all'Isis. Per l'Indonesia, gli attacchi odierni sono i primi dopo quelli contro gli hotel Marriott e Ritz di Giacarta del 2009, quando morirono otto persone. In precedenza, nel 2003 il Marriott era già finito sotto attacco, e nel 2002 una serie di attentati nella meta turistica di Bali aveva causato 202 morti, per lo più stranieri. In tutti quegli attentati c'era la mano di Al Qaeda, poi indebolita dagli sforzi coordinati delle autorità indonesiane. Ora la minaccia è invece l'Isis: un gruppo che in Indonesia - secondo un recente sondaggio - è visto con favore solo dal 4 per cento della popolazione, che tradizionalmente segue un Islam moderato. Subito dopo gli attacchi, sui social media gli indonesiani hanno lanciato l'hashtag "Noi non abbiamo paura". Ma in un Paese con oltre 210 milioni di musulmani sunniti (quasi il 90 per cento del totale), anche un minuscolo consenso è abbastanza per trovare altri aderenti disposti a portare il caos.
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