PALERMO. Se non si riesce a capire che l'affiliazione ideologica può essere pericolosa quanto un'azione terroristica, allora significa che c'è un problema!. Valentina Colombo, docente di Geopolitica l' Islam all'Università Europea di Roma, non nasconde la propria sorpresa- o qualcosa di più ...- nell'apprendere della ricercatrice libica di 45 anni subito rimessa in libertà a Palermo dal giudice delle indagini preliminari, dopo essere stata fermata su ordine della Procura per istigazione a delinquere con finalità terroristiche. La docente romana, che è tra l' altro autrice del saggio «Vietato in nome di Allah», sottolinea: «Stando alle notizie finora apprese, quella donna non era solo una simpatizzante di al Qaeda. Piuttosto, era una sorta di base logistica che smistava messaggi e creava contatti. Ecco perché dico che lascia perplessi quant'è avvenuto in queste ore». Sotto inchiesta è finita una ricercatrice pagata dall'ambasciata di Libia, ma al lavoro nell'Università di Palermo. Una stranezza? «Assolutamente sì. Soprattutto lo dico perché, in questo momento, risulta difficile parlare di Libia. Quale? Quella del governo di Tobruk, o l' altra che ha per capitale Tripoli? Sappiamo benissimo, peraltro, che si tratta di due realtà completamente diverse, con rapporti davvero diversi con l' estremismo islamico. Una stranezza, appunto». Un caso isolato, per gli Atenei italiani? «Credo sia proprio così. Ad ogni modo, poiché so quali sono le dinamiche di reclutamento delle Università italiane, ritengo che bisognerebbe stare più attenti nel monitorare gli accordi accademici e nell'accettare persone provenienti da Paesi -Non Paesi come la Libia». L' indagata avrebbe fatto propaganda per Ansar al Sharia, un'organizzazione legata ad al-Qaeda. Perchè non l' Isis, decisamente più «di moda» tra gli jihadisti? «Dall'inchiesta risulta che lei stessa abbia definito quelli dell'Isis soggetti abbastanza leggeri, poco raffinati intellettualmente. Al Qaeda rispetto a Isis, d'altronde, è decisamente più elevata nelle giustificazioni delle proprie azioni. Non sembra strano, allora, che una ricercatrice universitaria sia più attratta da al Qaeda, non dall' Isis. Che, in effetti, ha un radicamento medio -basso». Stando alle accuse, l' extracomunitaria avrebbe abitualmente frequentato le pagine Facebook della «Brigata al Battar». Cosa si nasconde dietro questo nome? «Mu'askar al Battar, appunto la Brigata al Battar, è anche il nome di una vecchia rivista di al Qaeda. Nell'immaginario jihadista questa denominazione ha un preciso significato e, quindi, anche solo frequentarne il profilo su Facebook ha implicazioni ben chiare. Ciò vale soprattutto nella galassia qaedista che ha una dimensione virtuale, a differenza dell'Isis che dispone di un territorio di riferimento». Tra gli obblighi imposti dal gip alla donna, quello di non circolare nelle ore notturne. Nessun divieto di comunicazione con l'esterno, invece. Un paradosso, nell'era di Internet? «Siamo di fronte a una persona che non ha mai avuto bisogno di muoversi. Lei telefonava o usava Facebook e WhatsApp. Allora, non ha certo bisogno di uscire per continuare a fare quanto faceva prima, a meno che non le sottraggano ogni strumento di comunicazione. Anzi, no. Perché può sempre recarsi in un Internet Cafe...». Quindi? «Parliamo di realtà virtuali. Quindi, bisognerebbe isolare fisicamente chi può avere ancora contatti con una rete con cui ha lavorato per tre anni». L'inchiesta siciliana dimostra, ancora una volta, come sia sbagliato sottovalutare il ruolo femminile nell'estremismo islamico. O no? «Potrebbe anche solo essere un caso isolato, quello scoperto a Palermo. Sta di fatto che, pure in ambito universitario, una donna riesce a dare molto meno nell'occhio rispetto a un uomo, magari barbuto. Lei, peraltro, mi è stata descritta come una persona sempre velata e dal carattere chiuso: rientra tutto in quei profili psicologici che portano, poi, all'estremismo islamico. Al Qaeda o Isis che sia». Sono stati accertati dalla Digos collegamenti con foreign fighters in Belgio e Gran Bretagna, due nazioni a forte «vocazione terroristica». Perchè questi Paesi sono terreno fertile per il jihad? «Abbiamo visto come tutta la logistica della recente strage di Parigi si trovasse in Belgio. In Paesi come l'Olanda o la Francia e la Gran Bretagna, o appunto il Belgio, per lungo tempo e stato tollerato molto in nome di una fittizia integrazione. Soprattutto, però, quelle sono nazioni in cui è stata consentita la creazione di tantissimi ghetti come quello tristemente famoso di Molenbeek a Bruxelles, da dove sono partiti gli autori dell' azione terroristica del 13 novembre». «Banlieu» belghe? «No, non si tratta di un quartiere periferico come quelli francesi. Anzi, è molto vicino al centro. Io ho visitato Molenbeek: è una zona in cui di fatto i residenti hanno costruito una sorta di mini -Stato nordafricano e islamico nel cuore di Bruxelles. Assurdo che, per anni, nessuno si sia mai posto il problema di cosa possa produrre una ghettizzazione di questo tipo. In Olanda la questione è esplosa dopo l' omicidio di Theo Van Gogh, il regista di "Submission" assassinato nel 2004». Cioè? «Fior fiore di politici e intellettuali dicevano che, in nome della tolleranza, il loro Paese non aveva voluto vedere cosa stava montando finché non è emerso sotto gli occhi di tutti il risultato di tanta indifferenza. La stessa cosa sta avvenendo in Francia, in Belgio, in Gran Bretagna. Speriamo che tutto questo non si riproponga in Italia, nei prossimi anni. Il caso di Palermo è un campanello d' allarme». Extracomunitari impegnati in Italia e nel nostro continente a cercare proseliti per la «guerra santa», mentre centinaia di giovani europei già combattono in Medio Oriente per il Califfato. Tra loro non mancano le «muhajirat», le ragazze occidentali. Possibile spiegare le ragioni della loro scelta? «Ciò dimostra che lo spazio islamico attecchisce e propone un' ideologia vincente per chiunque abbia problemi di integrazione. Occidentale e no, musulmano e no. Nell'arruolamento tra le file dello Stato Islamico, nella guerra pseudo -santa, molti vedono una possibile soluzione alle proprie frustrazioni, al loro disagio psicologico».