Lunedì 23 Dicembre 2024

Cochi: la presenza dell'Isis in Libia può destabilizzare il Mediterraneo

«Che Abu Bakr al-Baghdadi si trovi attualmente a Sirte è una notizia diffusa dall’agenzia di stampa iraniana Fars, citando fonti libiche rimaste anonime. Ma sembra più un tentativo di disinformazione nella guerra mediatica in corso fra l’Iran sciita e le potenze sunnite, come Turchia e Arabia Saudita». Marco Cochi, ricercatore del Cemiss — il Centro studi strategici del ministero della Difesa — e analista del think-tank «Il nodo di Gordio», invita a prendere con le molle gli annunci sullo ”sbarco” del califfo in terra libica. Vicino o lontano che sia, al-Baghdadi punta decisamente alla conquista della Libia. Per lui, tutto facile come in Siria e Iraq? «Lo scenario libico è ben diverso da quello siro-iracheno, dove lo Stato Islamico ha esteso il suo dominio in breve tempo. Innanzitutto, occorre precisare che finora l’impatto del Califfato sul territorio libico risulterebbe abbastanza contenuto, poiché controlla soltanto aree limitate. Secondo stime dell’Onu, inoltre, il numero dei suoi miliziani non è superiore a 3 mila. Nello scacchiere libico, inoltre, l’Isis è solo una delle varie fazioni in guerra e inoltre starebbe anche incontrando difficoltà a costruire alleanze con i gruppi jihadisti locali». Jihadisti «contro»? «Già nell'estate del 2014, il califfo al-Baghdadi inviò in Libia uno dei suoi più fedeli emissari: Abu Nabil al-Anbari, ex ufficiale dell’esercito di Saddam Hussein con cui aveva condiviso la detenzione nel carcere di Camp Bucca. Il califfo decise di imporre al-Anbari come wula, cioè governatore, della provincia libica con capitale Derna. Poi, al-Anbari è rimasto ucciso lo scorso 13 novembre nel corso di un raid aereo statunitense. Nei mesi scorsi, Derna è diventata teatro di un aspro conflitto fra il Daesh e il Majlis Shura al-Mujahidin, il Consiglio consultivo dei mujahidin, legato ad al-Qaeda e venuto in contrasto con l’Isis dopo l’uccisione di Nasir Atiyah al-Akar, uno dei capi della locale milizia radicale. Gli aspri scontri tra le due fazioni hanno registrato la sconfitta del braccio libico del Califfato cui restano la città di Sirte e in parte Sabratha». La guerra dei terroristi è destinata a dilagare sulle sponde del Mediterraneo? «Il fatto che lo Stato islamico abbia aumentato la sua presenza nella città mediterranea di Sirte, istituendovi una roccaforte come Raqqa in Siria e Mosul in Iraq, porta senza dubbio l'operatività dei terroristi più vicina all'Europa mediterranea. L'attuale scenario libico costituisce una potenziale piattaforma per proiezioni jihadiste e potrebbe trasformarsi in un fattore di destabilizzazione dell’intera area, ma anche in una minaccia diretta per il nostro Paese». Sicilia a rischio? «Uno dei principali obiettivi del Daesh è trasformare il continente europeo in terreno di scontro con l'Occidente. La minaccia è elevata ma allo stesso tempo i servizi sottolineano che a oggi non risultano "particolari attività o pianificazioni" di attentati nel nostro Paese. E nel territorio italiano è compresa anche la Sicilia. È pur vero che la Procura di Palermo, di recente, ha aperto un’indagine su possibili infiltrazioni di miliziani dello Stato Islamico tra gli stranieri arrivati negli ultimi mesi con i barconi». Nel suo ultimo libro «Jihad, guerra all’Occidente», Maurizio Molinari scrive di «Progetto Apocalisse» per definire la strategia dell'Isis. Cosa bisogna aspettarsi ancora? «Possiamo aspettarci altri sanguinosi attentati, ma prima di tutto è necessario esaminare in tutta la loro portata effettiva i progetti del Califfato. Walid Shoebat, uno studioso islamico ex appartenente all'Olp, ha realizzato una mappa che è stata pubblicata nel settembre dello scorso anno dall'International Business Time e che sintetizza i progetti di espansione dello Stato Islamico entro il prossimo decennio. Sono evidenziati alcuni Paesi europei nei quali il Califfato è intenzionato a imporre il proprio dominio». Quindi? «Prendendo atto della serie di attacchi coordinati che hanno terrorizzato Parigi, i piani espansionistici del Daesh per la creazione di un Califfato regionale suscitano sicuramente maggior inquietudine. È ancora praticamente impossibile, però, che i miliziani di al-Baghdadi possano realizzare l'ardito obiettivo di rimuovere governi secolari e sostituirli con un Califfato pan-islamico. Dopo il 13 novembre, comunque, la lunga guerra asimmetrica che molti Paesi europei stanno combattendo ha assunto una dimensione ancora più ostile». Se i miliziani dell'orrore spostano dal Medio Oriente al Nord Africa il fronte principale del conflitto, ciò significa che "in patria" temono poco o nulla i raid russi e americani? «Sono propenso a sostenere il contrario, altrimenti continuerebbero a mantenere l'epicentro delle loro molteplici attività criminali nel territorio siro-iracheno». I negoziati di pace tra i governi di Tripoli e Tobruk somigliano tanto alla tela di Penelope: di notte si disfa quanto fatto di giorno. Troppi interessi in gioco, decine di clan tribali in competizione, perché si possa arrivare a un governo di unità nazionale? «Nonostante la frenetica attività intrapresa dall'inviato dell'Onu, Bernardino Leon, per cercare una soluzione alla crisi istituzionale che vede il Paese "amministrato" da due governi rivali, quello di Tripoli in mano ai filo-islamici e quello di Tobruk, luogo d'esilio del parlamento regolarmente eletto nel giugno 2014, continua lo stallo sulla risoluzione voluta e cercata dall'emissario delle Nazioni Unite, che non sembra ancora riuscire a trovare una comune intesa tra le parti. Più volte è sembrato che la questione potesse chiudersi, ma poi tutto continua ad arenarsi nel pantano degli interessi tribali, economici e di potere perseguiti dai singoli clan». L'Italia prova a mostrare i muscoli, almeno sul piano diplomatico. Servirà la Conferenza di Roma, in questo fine settimana? «Il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni ha spiegato che il vertice di Roma sarà molto simile a quello di Vienna sulla Siria, perché è prevista la partecipazione dei grandi player internazionali e dei Paesi della regione. E come nella capitale austriaca anche a Roma si vorrebbe impostare un percorso per arrivare a un governo di unità nazionale, con sede a Tripoli. L'auspicio è che dall'Italia parta la spinta decisiva per arrivare alla formazione di un nuovo e unico esecutivo in Libia, ma è ben chiaro che l'accordo devono farlo i libici, che non saranno presenti al vertice e potrebbero essere convocati in un secondo momento».

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