PALERMO. Sconfiggere l' Is è molto più facile di quanto non «sembri: ma prima di un intervento di terra, occorrono un grande sforzo di intelligence e una soluzione politica precisa: isolare i jihadisti sunniti che nutrono risentimento politico, dai tagliagole che terrorizzano l' Occidente». Lorenzo Cremonesi, inviato di guerra del Corriere della Sera che ha visto crescere l' Isis davanti ai suoi occhi, analizza così temi e fronti in campo nella battaglia globale contro il Califfo.
La Francia colpisce l' Isis con raid aerei. Ma i tank russi sembrano aver iniziato a colpire anche a terra i ribelli anti Assad. Quali sono le forze in campo in questa partita piena di interessi divergenti?
«I francesi hanno intensificato i bombardamenti in territorio iracheno, grazie al supporto della portaerei Charles de Gaulle, in risposta agli attentati del 13 novembre. In passato avevano agito in coalizione a fianco degli Stati Uniti, ma il loro ruolo nel conflitto si è ora accresciuto. Insieme a loro c' è il Regno Unito, che valuta la partecipazione ai raid, e poi la Giordania. La Russia è in una posizione ambigua: da una parte colpisce i ribelli anti Assad e dall' altra bombarda postazioni dell'Isis. Ma il fronte internazionale non è facile da delineare anche per via delle divisioni tra sunniti e sciiti a livello regionale».
Quali sono i due schieramenti che si confrontano in Siria e in Iraq?
«A sostegno della componente sunnita, e dunque a favore dell' Isis, ci sono l' Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia che da tre anni consente ai terroristi di entrare in Siria dai suoi confini e ha un atteggiamento molto ambiguo. A sostegno degli sciiti, e dunque in appoggio ad Assad e alle truppe siriane, c'è soprattutto l'Iran e l'Hezbollah libanese. È in questa partita che si innestano gli interessi occidentali. Il fenomeno mai rimarcato a sufficienza è, a tal proposito, che dal 2011, quando gli Usa abbandonano l' Iraq, i sunniti perdono il loro massimo alleato occidentale. In ottemperanza all' impegno elettorale assunto con gli americani Obama cerca il disimpegno. Gli equilibri del Medioriente saltano anche perché gli Usa, che fino a pochi anni fa dipendevano dall'Arabia Saudita per il petrolio, cominciano a produrselo in autonomia grazie al fracking. È in questo vuoto di potere, che si infiltrano le forze regionali che aprono la strada alla Russia.
Mosca è uscita allo scoperto perché ha visto Bashar in grave difficoltà: i russi non potevano permettersi di perdere la loro più importante base in Medioriente».
Quali interventi militari erano stati compiuti dalle forze occidentali, prima dei raid francesi recenti?
«Prima della presa di Mosul, che nel giugno del 2014 segna la nascita dello Stato islamico, l' esercito siriano e quello iracheno avevano perso importanti battaglie contro l' Isis e stavano per battere in ritirata. La perdita di Mosul impone agli americani di rientrare in gioco dopo un lunga inerzia con una mossa di cui nessuno parla, ma che ha consentito all'enclave curda nel Nord dell' Iraq di non andare in pezzi. Per quanto riguarda la Siria gli americani cominciano ad agire ancora prima, nel 2013, ma in modo molto circospetto. Non vogliono mettere gli stivali sul terreno. Inviano droni in perlustrazione e compiono raid, ma l' unico successo che raccolgono è quello di difendere i curdi. Quando si tratta di avanzare contro lo Stato islamico, fanno molto poco. Questo stato di cose precipita ad ottobre di quest' anno, quando Putin manda avanti dei battaglioni contro lo Stato islamico».
Qual è stato e qual è oggi il ruolo dell' Italia?
«Da settembre scorso l'Italia manda armi e munizioni ai curdi in Iraq. Ma il nostro Paese non è intervenuto in Siria, dove non ha intelligence, né ruolo, né ha una strategia precisa. Come Germania e Spagna l' Italia non partecipa direttamente ad azioni militari, ma si limita a offrire sostegno diplomatico e logistico. I nostri aerei non sganciano bombe, insomma. Ma nonostante ciò i jihadisti continuano a rivolgere minacce di attentati contro il nostro Paese».
Per sconfiggere l' Is, si dice, bisogna guardare alle sue origini. Quali sono?
«Lo Stato islamico mediorientale è un fenomeno sunnita, che affonda le sue radici nell'invasione americana dell' Iraq del 2003. Quando il regime sunnita dittatoriale a maggioranza sunnita di Saddam Hussein viene defenestrato, viene scardinato l' equilibrio di un Paese fondamentale per il Medioriente. La maggioranza sciita prende le redini del Paese dopo le elezioni, e consente all'Iran di realizzare il vecchio sogno di penetrare culturalmente, economicamente e militarmente in Iraq. A quel punto, la minoranza sunnita, che è il 30% della popolazione irachena ed era sempre stata classe dirigente sin dal tempo degli ottomani viene estromessa dal potere, marginalizzata, e perseguitata. Da qui la grande rabbia sunnita, che vede spostarsi larga parte della classe dirigente sunnita irachena in Giordania ma soprattutto in Siria. Comincia la surge, la rivolta che dal 2005 al 2008 scatena il malcontento contro gli americani che a giudizio dei sunniti non hanno fatto niente per aiutarli. Un malcontento che reca il marchio qaedista di al-Zarqawi. Tra il 2011 e il 2013, una serie di tribù locali sunnite nella regione di al-Anbar, a Ramadi e Falluja, riescono a togliere allo Stato iracheno il controllo di larga parte del territorio. È la prima parvenza di Stato islamico. Ma alle rivendicazioni dei sunniti iracheni, si aggiungono quelle dei sunniti siriani che rappresentano l' 80, o addirittura l' 85 per cento della popolazione. Gli alawiti al potere a Damasco, sciiti che non sono più del 12 o 13 per cento della popolazione, li tengono sotto scacco. E la maggioranza sunnita si ribella. La rabbia dei sunniti iracheni e siriani si cementa e pone le basi dello Stato islamico. Molte brigate quaediste si mettono presto al servizio dell' Isis. Sorto lo Stato islamico, parte poi la seconda fase: i giovani provenienti dall' Europa cominciano a gravitare attorno all' Isis e danno vita alla parte europea dello Stato islamico».
In ragione di ciò, che cosa fare per battere il Califfato?
«L' Isis è molto più debole di quanto non si creda: sconfiggerlo militarmente sarebbe abbastanza facile. Ma per riuscire in questo intento, occorre rompere la simbiosi tra jihadisti più "moderati", e cioè quegli iracheni e siriani che lottano per la loro libertà e portano avanti rivendicazioni politiche, e i tagliagole dell' internazionale del terrore. Per fermare l' Isis di casa nostra, serve uno sforzo di intelligence coordinato. Ma sul fronte regionale, occorre rimettere in campo la strategia del generale Petraeus: dare soldi e armi ai capi sunniti per convincerli a staccarsi dall' Isis. È solo dopo aver preparato una soluzione politica, che si potrebbe pensare a un intervento di terra. I bombardamenti non fanno altro che esacerbare la popolazione sunnita».
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