L' opinione pubblica in Occidente si ferma attonita davanti ai morti di Parigi, ma deve imparare a ragionare freddamente, deve imparare a individuare le radici della malattia per combatterla. E queste radici non stanno nell' intrinseca violenza dell' Islam come farneticano intel lettuali, politici e opinion -makers». Forte delle ragioni della storia, Massimo Campanini, tra i maggiori orientalisti italiani, nonché storico della filosofia islamica, apre con queste parole il suo nuovo volume «Quale islam? Jihadismo, radicalismo, riformismo», pubblicato dall' Editrice La Scuola. Quella dell' Islam quale religione basata sulla violenza può essere considerata la storia di un equivoco? «Certamente. Le motivazioni sono diverse. In primo luogo va detto che il Corano è un testo sacro complesso, che contiene aspetti bellici, ma ne contiene altrettanti ecumenici e di apertura e si presta, pertanto, anche a una lettura non fondamentalistica. Il Corano, in questo, non è diverso dalla Bibbia: anche nel Deuteronomio ci sono riferimenti a città che vanno "conquistate a fil di spada senza lasciare alcuno che respiri". E allora, che significa, che la Bibbia è violenta? Che l' ebraismo è violento? Penso che lo stesso discorso debba valere per l' Islam». Nella sua analisi, ha un ruolo determinante l' espansione dell' Islam nel corso della storia. «L' Islam non si è imposto con violenza. In Egitto, in Siria, le popolazioni sono diventate musulmane in quattro secoli. Una religione o si impone subito, oppure significa che non è stata imposta con violenza se tale "imposizione" è durata tanto. Inoltre, la cultura islamica, dalla filosofia alla scienza, si è ampiamente "meticciata" con quella greca, nel corso del Medioevo. Le minoranze ebraiche sono state trattate meglio nei paesi musulmani che non in quelli cristiani. Pensiamo ai moriscos espulsi dai re cattolici. Sono fatti storici evidenti. C' è poi un terzo spunto di riflessione, il fraintendimento della vulgata che vede l' Islam come teocratico, e in quanto tale orientato a imporre il proprio dominio politico. Ma l' Islam è cesaropapista, non teocratico. Il terrorismo dell' Is, che si è identificato automaticamente con la religione, ha utilizzato strumentalmente a fini politici la religione. Ma è la religione a essere utilizzata in maniera strumentale dalla politica, non viceversa. Questo è accaduto nella storia dell' umanità, in tutti i paesi del mondo. Dai Tamil al cristianesimo, si pensi ai conquistadoresin Spagna, con Sepulveda che diceva di "portare il Vangelo ai barbari". Se l' Islam è violento, cosa dovremmo dire delle crociate inventate da noi cristiani? In Occidente la guerra santa è stata fatta oggetto di diritto ecclesiastico. C' è una deformazione nelle interpretazioni e una insufficiente conoscenza storica. Il passato va visto con occhi critici, la storia può essere davvero "magistra vitae" ma senza approcci ambigui, pregiudiziali che parlano di Islam solo per strumentalizzarlo per altri fini». Lei individua, su un piano prettamente politico, tre diversi tipi di Islam: quello moderato -riformista, quello rivoluzionario, quello jihadista. «C' è un confronto -scontro dell' Islam con la moder nità iniziato con il colonialismo, cioè con la subordinazione dei popoli afroasiatici e musulmani all' Occidente. Questo ha generato forme plurali di reazione. Esiste l' Islam riformista, che punta a un' islamizzazione della società "dal basso", attraverso riforme e puntando al sociale. C' è un Islam radicale che però non è sfociato nel terrorismo, ma nella rivoluzione: una teologia islamica della liberazione che punta al riscatto degli ultimi, come la teologia cattolica della liberazione. Poi c' è il jihadismo, che è una terza forma, aggressiva. Ma questo testimonia l' esistenza di una pluralità di approcci. Anche all' interno dello stesso jihadismo ci sono differenze, alcuni combattono contro regimi locali considerati miscredenti, mentre c' è anche chi guarda al nemico lontano, all' Occidente. Gli attentati di Parigi hanno quindi connessioni con una parte del jihadismo, ma non si possono imputare all' Islam tout court. Gli uomini sono diversi, ci sono soggetti plurali, anche i musulmani sono diversi tra loro, negli obiettivi, nelle battaglie, nelle aspirazioni». È scorretto, a suo avviso, l' assioma immigrazione -terrorismo? «Ci sono nei trasferimenti potenziali di interi popoli anche dei criminali, dei malintenzionati. Ma questo è sempre accaduto nella storia: anche gli Unni avevano tra loro Attila. Da una parte è evidente che la storia umana è fatta di migrazioni, sin dai tempi degli australopitechi: se questi fossero stati uccisi dagli uomini di Neanderthal oggi, forse, non avremmo nemmeno l' homo sapiens. Le migrazioni sono un fatto umano e rigenerano sempre. L' organizzazione degli attentati è stata fatta da cittadini belgi, francesi. C' è quindi una questione retorica nella strumentalizzazione dell' immigrazione. La Sicilia, oltretutto, è abituata da secoli all' interscambio. Non si può pensare di porre argini alle migrazioni come le barriere in Slovenia ole espulsioni che qualche politico auspica. È vero che ai tempi dei Goti, Ostrogoti e Visigoti, oppure dei Vandali, si spostavano ventimila persone. Oggi l' umanità è fatta da 7 miliardi di persone, gli spostamenti sono più imponenti». Quindi i flussi migratori sono da considerare politicamente non gestibili? «La questione è diversa: la migrazione porta integrazione. Qualcuno dice, ma non è vero, che i Romani sono stati abbattuti dai barbari. Ma poi è nata la civiltà romano -barbarica e da lì Adelchi, Carlo Magno che hanno fatto della civiltà romano -barbarica quella europea. In prospettiva la civiltà europea si trasformerà in euro -araba. Prospettiva che spaventa alcuni, ma la storia non si ferma con i pregiudizi razzisti».