Negri: raid in Siria, ora Francia e Usa fanno sul serio. Ma contro Isis servono pure accordi diplomatici
PALERMO. «Gli aerei francesi, col sostegno degli americani, sono appena intervenuti controilCaliffato centrando gli obiettivi. Per un anno e mezzo, invece, la coalizione è andata avanti con raid cheperil 70 percento non trovavanoil bersaglio». Senza troppi giridi parole,AlbertoNegri—inviato del «Sole 24Ore», più volte impegnato sul fronte mediorientale — boccia gli Usa e i loro "Volenterosi" alleati per quanto fatto in Siria e Iraq: «Tutto dimostra che finora la guerra al Califfato non è stata fatta davvero!», esclama il giornalista. La strage di Parigi sembra avere tragicamente imposto una decisa svolta nella guerra all'Isis. O è solo fuoco di paglia, acceso da una reazione emotiva? «L'Isis non si combatte solo con mezzi militari,ma anche politici e diplomatici. Lo abbiamo intuito bene ad Antalya con l'incontro tra Obama e Putin che credo sia decisivo per capire cosa accadrà in futuro. Se gli Stati Uniti e la Russia si mettono d'accordo, possono fare leva sugli attori regionali per arrivare ad un'azione comune contro il Califfato e, cosa forse ancora più importante, per ottenere un'intesa tra le parti nella guerra civile siriana. Ad ogni modo, è un errore preoccuparsi della sola Siria perchèlo Stato Islamicoin territorioiracheno controlla città comeMosul, quasi 2milioni di abitanti, o Ramadi e la roccaforte di Falluja. In più, hanno in mano alcuni asset strategici come la diga di Mosul». A questo punto, difficile se non impossibile sradicare il Califfato dell'Orrore? «Per farlo, serviranno offensive di terra. Ma chi le farà e come? Non sarà facile, comunque, estirpare il Califfato. Lo insegnano non soltanto gli eventi di questi due anni, ma anche la consapevolezza del fatto che lo Stato Islamico dispone di equipaggiamenti militari importanti. Questi, tanto per fare un paragone, sono moltomeglio armati e addestrati dei talebani afghani. Bisogna, quindi, trovare chi è disposto a combatterli sul campo». Appunto, chi? «Oggi lo fanno i pasdaran iraniani e gli hezbollah,i peshmerga di Barzani (MassoudBarzani, presidente della regione autonoma curdo-irachena, ndr) e un debolissimo esercito iracheno. Non bastano. L'azione politica-diplomatica dovrà, quindi, servire a convincere altri gruppi sunniti (stessa corrente islamica dell'Isis, ndr) a opporsi al Califfato. Solo costituendo sul terreno una coalizione militare di questo tipo, sarà possibile poi arrivare a una sistemazione politica in Iraq e Siria». Lo Stato Islamico, intanto, si rafforza ogni giorno potendo disporre di entrate che per il 2014 sono state stimate in ben 2 miliardi di dollari. Contrabbando di petrolio, traffico di reperti, tratta delle schiave... «Le prime entrate del Califfato non sono costituite da queste voci, ma arrivano dal territorio di cui si sono impossessati.Hanno preso tuttii soldi che erano nelle banche delle città conquistate. Inoltre, taglieggiano la popolazione. Altro che tasse... La differenzacon Al Qaeda sta proprio nel fatto che quel gruppo non controllava un territorio, ma era ospite dei talebani. Per quel che riguarda il petrolio, sicuramente il contrabbando c'è stato ma fino a un certo punto perchè le raffinerie sono state bombardate. E i reperti assicurano entrate marginali. Altri soldi, invece, arrivano da fuori: le fonti esterne sono consistenti, la raccolta viene fatta dalle cosiddette organizzazioni islamiche caritatevoli di sauditi, qatarini e altra gente così». Lei ha scritto che serve «un’alleanza di civiltà» nel mondo islamico per combattere l'Isis. Sciiti e sunniti si metteranno mai attorno a un tavolo? «È già avvenuto nel 1988 tra Iraq e Iran, dopo otto anni di combattimenti e un milione di morti. Quella è stata la prima grande guerracontemporanea tra sciiti e sunniti, finanziata dai Paesi del Golfo con 50 miliardi di dollari. Alla fine, per volontà di Stati Uniti e Russia che simisero d’accordo, si arrivò a un cessate il fuoco. Oggi, ci troviamo più o meno nella stessa situazione». Perchè? «L’Iran ha avuto bisogno di Putin, di Mosca, per tenere a gallail presidente sirianoAssad. Teheran staimpegnando cifre enormi e queste pesano sul governo di Rouhaniche ha promesso alla sua popolazioneil rilancio economico ela fine delle sanzioni.Alleggerireil peso di questo conflitto, arrivando alla tregua e alla transizione in Siria, è importantissimo per gli iraniani. Poi, c’è l’Arabia Saudita...». Cioè? «I sauditi, che sono i portabandiera dell’Islam sunnita, stanno oggi affrontando il conflitto nello Yemen. L’Arabia, in pratica, ha la guerra in casa e non ne stanno venendo fuori. Rischiano una sconfitta devastante e non è un caso che i loro aerei, come quelli degli Emirati, non stanno più bombardando il Califfato. Se mai l’hanno fatto. Sono stati,invece, spostati sullo Yemen. Insomma, i due principali attori regionali che rappresentano i più importanti filoni dell’Islam hanno oggi tutto l’interesse a raggiungere una soluzione politico-diplomatica della questione. Fatto l’accordo sul nucleare, poi, l’Isis è diventato meno utile come strumento di pressione sull’Iran». Insomma, meno scuse per chi sinora ha solo fatto finta di lottare i «professionisti del jihad»? «Oggi, tutto questo apparatojihadistaha perso agli occhi degli Usa e dell’Occidente il suo valore di leva. Va, poi, ricordato il peso dell’intervento russo in Siria. Gli americani non possono certo permettersi che sia Mosca a sconfiggere lo Stato Islamico, perchè ciò significherebbe perdere la guerra per chi l’aveva fatta già nel 2003. È estremamente significativo il fatto che gli Stati Uniti abbiano richiamato all’ordine la Turchia di Erdogan». A proposito di Erdogan. Lei lo ha definito «un principe dell’ambiguità mediorientale». La Turchia resta sempre un caposaldo della Nato? «L’ambiguità in Medio Oriente è un tratto caratteristico di tutti. Anche degli Stati Uniti. Non si spiega, d’altronde, perchè questa guerra stia durando così tanto, mentre non sarebbe neppure dovuta iniziare. Erdogan col sostegno dell’Occidente ha fatto passare tanti jihadisti diretti in Siria, perchè lui e gli americani credevano che avrebbero buttato giù Assad. Il conflitto, invece, dura già da quattro anni!».