E adesso? Come reagire, concretamente, all'attacco di Parigi? Se già venerdì, nella notte della città delle luci, nessuno dubitava su «l' atto di guerra», è altrettanto ovvio che nelle prossime ore, per fermare o prevenire le azioni dell' Isis, non basteranno né le dichiarazioni dei leader né la solidarietà della comunità internazionale né la partecipazione al dolore. Cosa fare, dunque? Mentre al G20 sull' ambiente, in Turchia, i Grandi della terra provano a dare le prime, timide risposte agli attentati francesi, Paolo Magri, vicepresidente e direttore dell' Istituto per gli Studi di politica internazionale, cerca di allargare l' orizzonte dei fatti, guardando alla storia: «È indubbio che ci debba essere una reazione, ma è fondamentale che la reazione venga studiata e meditata adeguatamente, e tenga conto degli errori del passato, anche recente». Il Daesh ha due dimensioni: una solida, le roccaforti sul campo, e l' altra "liquida", senza confini, capace di colpire ovunque. Qual è la strada da percorrere per sradicare questa realtà? In molti, oggi, invocano un intervento più deciso in Siria... «Non dobbiamo illuderci: annientare le roccaforti dell' Isis in Siria e in Iraq non farà implodere il terrorismo. È tuttavia certo che da lì bisogna partire: dalla "casa madre". Sappiamo che intervenire solo militarmente, senza un disegno sulla stabilità di lungo termine, non serve a nulla -basti pensare a quanto accaduto il Libia e in Iraq - e sappiamo che intervenire solo con raid non basta, visto che dopo 7.000 incursioni aeree il Califfato non è arretrato di un centimetro. Sappiamo però che nessun Paese occidentale invierà truppe di terra sino a quando non ci sarà un accordo fra Russia, Usa, Iran e Arabia Saudita, che definisca senza ambiguità che l' obiettivo comune è l' Isis, e non i curdi o gli oppositori di Hassad. Un accordo che coordini anche gli interventi militari. Non siamo lontanissimi da quest' intesa e forse i fatti di Parigi possono aiutare a chiudere le ultime resistenze». Che parte ha e quale potrà avere Mosca nel contrastare il Daesh? «La Russia, seppur mossa anche dalla volontà di affermare un suo ruolo internazionale e di uscire dall'isolamento post crisi ucraina, ha avuto il merito di smuovere le acque di una situazione siriana bloccata ormai da anni sul ruolo o non ruolo che potrà avere il presidente Assad. Le parole pronunciate da Putin ieri - "facciamo fronte comune contro l' Isis" - vanno nella direzione corretta. Vedremo nei prossimi giorni se alle parole seguiranno i fatti e, in particolare, una disponibilità negoziale che non sempre è stata lineare». Fin dall' 11 settembre 2001 gli attacchi simultanei sono stati un modus operandi dei jihadisti. C' è una novità negli ultimi attentati di Parigi? «La dimensione e l' articolazione di quanto è avvenuto a Parigi rappresentano un indubbio salto di qualità rispetto a ciò che Isis ha realizzato in Europa sino ad ora. Siamo passati dai lupi solitari, che prendono di mira obiettivi sensibili, a un branco di lupi coadiuvati da possibili presenze esterne, che hanno colpito vari momenti della vita norma ledi un fine settimana parigino. Maggiore organizzazione, dunque, e un messaggio nuovo, un messaggio di terrore indirizzato a tutti, indistintamente». È ovvio che la Francia, già bersagliata a gennaio con l' attacco a Charlie Hebdo, sia rientrata tra gli obiettivi del Daesh dopo i raid aerei in Siria. Ma è davvero solo questo il motore degli attentati? E perché colpire ora? È un atto di debolezza odi forza da parte dell' Isis? «La Francia è nel centro del mirino per diversi motivi: è un paese attivo militarmente in Mali come in Siria, ha una grande comunità islamica da decenni, dalla quale con più facilità possono provenire le poche- sottolineo poche- persone radicalizzate che compiono atti come quelli visti nelle vie della capitale francese. Tornare, come accaduto a gennaio, a colpire fuori area- ovvero in Francia, in Europa - non è però necessariamente un segnale di forza per l' Isis. L' accordo con l' Iran sul nucleare, che "sdogana" una importante potenza regionale, il conseguente ingresso di Teheran ai tavoli negoziali di Vienna, il dinamismo russo, sono tutti fattori che prefigurano un possibile rafforzamento dell' azione di contrasto in Siria ed Iraq di cui si vedono già primi segnali. La propaganda del terrore e della esaltazione dell' invincibilità si sposta quindi altrove, da noi». Secondo alcune fonti, ancora da verificare, uno o due attentatori potrebbero essere profughi, provenienti dalla rotta balcanica. In molti invocano adesso la chiusura delle frontiere. Sarebbe una soluzione? «Non abbiamo ancora certezza su questa notizia e ci sono già alcuni partiti che vanno all' incasso elettorale, legando a doppio filo immigrazione e terrorismo, Islam e terrorismo. Il terrorismo ci colpisce da decenni, da molto prima che iniziasse il flusso di migranti che coinvolge anche il nostro Paese. E l' Islam è la religione di centinaia di milioni di persone che non sono ovviamente terroristi. Cavalcare l' onda del conflitto fra religioni e culture ci farebbe cadere nella trappola del Califfato, che è proprio quella di affermare una contrapposizione fra "noi e loro", quando l' unica contrapposizione sensata e irrinunciabile è quella di tutti noi - qualunque sia la religione o la nazionalità - contro la barbarie che l' Isis esprime». Nei proclami del Califfato il Vaticano e Roma costituiscono già da tempo un obiettivo. Tra pochi giorni inizierà il Giubileo, che è anche una grande "operazione di pace". Sarebbe giusto sospenderlo? «Sospendere il Giubileo, o annullare la conferenza di Parigi sull' ambiente, o comunque modificare le nostre abitudini così come i nostri diritti, farebbe il gioco dei terroristi che mirano proprio a questo, a seminare paura e terrore. Detto ciò, non possiamo nasconderci: è impossibile dare garanzie di sicurezza totale o escludere attentati anche nel nostro Paese. Dobbiamo continuare a tenere l' attenzione investigativa al massimo e usare al meglio gli strumenti di cui anche in Italia ci siamo dotati dopo gli attentati di Parigi del gennaio scorso».