Il presidente Hollande, dopo la strage, dice che la Francia è in guerra. Non solo la Francia. Come ricorda da tempo, inascoltato, Papa Francesco, si è da tempo a una «terza guerra mondiale a pezzi». Questa ha avuto uno dei suoi terribili fuochi nella Parigi delle libertà, nel cuore dell’Europa, in uno dei centri maggiori dell’Occidente libero. Siamo in guerra. Dobbiamo difenderci e contrattaccare, per sconfiggere il terrorismo e i suoi orrori. Ora, certo, non dobbiamo perdere la calma. Ma neppure smarrire il senso delle cose. Al centro della guerra c’è l'Isis, lo «stato islamico» che si estende da Aleppo in Siria a Ramadi in Iraq, già a pochi chilometri da Baghdad e che ancora si espande creando spazi distaccati in Libia, formando cellule di combattenti stranieri nelle maggiori capitali dell’Occidente. Con capi, gregari, simpatizzanti e complici che noi vogliamo combattere e non conosciamo. Il loro essere si riassume nelle parole riportate nella recente intervista di Quirico a uno dei combattenti. Si sentono «guerrieri di Dio», quel «Dio inflessibile sottratto a ogni dubbio», come osserva lo scrittore. Sono uomini che si sentono irreversibilmente diversi da noi che avremmo perso la voglia di «combattere per la fede». Quale fede? Quella da cui derivano i tratti dello Stato che hanno fondato. Dove le ragazze possono sposarsi dall’età di nove anni, le donne non devono lavorare, guidare un’auto o studiare, potendo uscire solo per servire la comunità e partecipare alla Jihad. Dove i minori sono minacciati o drogati per farsi esplodere, spostati da una parte all’altra per assistere a fucilazioni e decapitazioni. Dove accumulano ricchezze movimentando squallidi commerci, trattato di tutto dal petrolio ai beni d’arte, dalle droghe agli esseri umani (donne e bambini in primo luogo). Non si fermano davanti a nulla perché non temono la morte, avendo anzi assunto la morte come strumento di attacco, con i kamikaze che esplodono dappertutto, come ieri nei pressi dello stadio di Parigi. Non ci si libera degli orrori di questo terrorismo se non si colpisce al cuore proprio lo «stato islamico» che muove piccoli eserciti, traffici e trame. Operando nell’ombra, oppure a viso aperto, combinando kamikaze, ordigni esplosivi, fucili kalashnikov ed equipaggiamenti impeccabili. Per sconfiggere questo Stato bisogna correggere e rivedere strategie, tattiche e strumenti. L’Occidente deve sapere unirsi, scegliendo alleanze efficaci senza remore e distinguo, avendo come obiettivo centrale la distruzione dell’Isis, senza se e senza ma. Non bastano azioni di guerra indolori, usando solo aerei e droni. Bisogna mettere, al contrario di quanto finora dice (ma non pensa più) Barak Obama, «gli stivali nel terreno». Con la dovuta forza, poi, bisogna sollecitare alla chiarezza quel mondo islamico «moderato» che dice di dissociarsi ma tace (con poche eccezioni), che si agita ma resta fermo. Se la loro crescita, il loro benessere dipendono anche da noi, dinanzi a minacce che mirano a distruggerci non possono essere altro da noi. Dobbiamo infine governare meglio la sicurezza in ciascuno dei nostri paesi, nel contrasto forte delle cellule jihadiste - che sotto varie forme sempre più si muovono nei territori - tutelando meglio i confini. Del resto, uno dei terroristi morti ieri aveva passaporto francese. Ciò non significa contrapporsi in modo ottuso alla immigrazione. Certe anime belle riflettano su quello che papa Francesco, figura simbolo dell’integrazione dei migranti, dichiarava lo scorso settembre a Radio Renascenca: «È vero, le condizioni di sicurezza territoriale oggi non sono le stesse di altre epoche», «abbiamo a 400 km dalla Sicilia una guerriglia terrorista estremamente crudele», «il pericolo di infiltrazione c’è». Il fatto che uno dei kamikaze fosse entrato in Europa come rifugiato siriano attesta quanto sia fondato il sospetto. La svolta è urgente. I grandi Paesi del mondo, dall’Europa agli Usa, dalla Russia alla Cina e all’India devono unirsi. In tempi rapidi. Riconoscendo che troppo tempo si è perduto e che troppe illusioni hanno tenuto il campo. La realtà che adesso travolge ogni sogno è nell’orrore delle decine di giovani fucilati, uno dopo l’altro, ieri al Bataclan di Parigi. Non si può più credere, o far finta di credere, a questa guerra proclamata contro di noi. Non si può più non vederla e ad essa voltare le spalle. Perché la guerra, come è avvenuto ieri, ci colpisce alle spalle. Mentre vediamo una partita, ascoltiamo un concerto, beviamo una birra, balliamo in una discoteca... La libertà e la pace sono valori irrinunciabili. Ma ormai hanno un prezzo. Dobbiamo pagarlo. Il terrorismo, come vediamo, non fa sconti.