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Neri: «Estorsioni, petrolio e reperti: ecco il tesoro del califfo»

ROMA. Molte ipotesi, tante cifre. Il "tesoro del califfo" resta un mistero, o quasi: «Stando ai calcoli della Fatf, la Financial Action Task Force dell' Ocse, l' Isis solo la scorso anno avrebbe raccolto non meno di 2 miliardi di dollari», afferma Claudio Neri, direttore dell' Istituto Italiano di Studi Strategici «Machiavelli».

Per alcuni analisti, l' Isis rappresenta un' eccezione nel panorama jihadista poiché dipende poco dalle donazioni estere. Davvero marginale il peso dei finanziatori sauditi, qatarioti e di altri Paesi arabi?
«Sì. Attualmente, in base alle informazioni disponibili, sembra che la voce più consistente nel bilancio dello Stato Islamico sia costituita dalle estorsioni e dalla "tassazione" imposta illecitamente all'interno dei territori occupati. Complessivamente, le donazioni che l' Isis riceve, sono una parte minoritaria nel bilancio generale ma, ovviamente, non vanno sottovalutate.
Esse costituiscono comunque una fonte di valuta pregiata per il gruppo. Si può sicuramente affermare che le capacità di finanziamento dello Stato Islamico lo distanziano nettamente dalla realtà dei gruppi jihadisti operanti negli anni passati, come Al Qaeda, i quali erano in vece pesantemente dipendenti dai donatori privati».
Il Financial Times ha calcolato in 500 milioni di dollari il gettito annuo garantito al Califfato dal contrabbando di greggio.

Questa è la prima voce di bilancio?
«Se non la prima in assoluto, è sicuramente tra le prime. Il Califfato estrae risorse dai territori sotto il suo controllo. Oltre ad estorcere sistematicamente le popolazioni, depreda le ricchezze del territorio, in primis il greggio di cui le zone tra Siria ed Iraq sono ricche. Benché lo Stato Islamico non disponesse inizialmente di valide capacità tecniche nel campo petrolifero è riuscito, nel corso del tempo, ad acquisir leed a gestire alcuni pozzi di petrolio il cui greggio viene immesso nel mercato nero anche grazie a consolidate reti criminali".

Cultura, economia, società, religione: nulla sfugge al controllo del regime di Abu Bakr al-Baghdadi. Efficiente e spietata, dunque, l' amministrazione fiscale?
«Assolutamente sì. Lo Stato Islamico vive in gran parte grazie a queste risorse e nel corso dei mesi è riuscito a migliorare l' efficienza della propria "infrastruttura" fiscale, se così possiamo chiamare quella che in realtà costituisce una struttura para -mafiosa che si occupa di taglieggiare, derubare e commerciare beni al mercato nero».

Quanto può realmente valere il traffico di reperti archeologici?
«Al momento non è possibile fornire cifre precise, anche perché manca del tutto la possibilità di monitorare i beni archeologici trafficati clandestinamente. Tenga però pre sente che, in base a recenti informazioni, sembra che lo Stato Islamico abbia consolidato i propri rapporti con le reti criminali che, in Medio -Oriente, trafficano da anni i beni archeologici».

Insomma, in siti come quel lodi Palmira gli jihadisti distruggono solo ciò che non possono piazzare sul mercato nero?
«La distruzione di una parte dei beni archeologici ha un doppio scopo. Da un lato, economico -criminale: esercitare una sorta di controllo del traffico, rendendo più rari e quindi di maggior valore i beni trafficati, Dall' altro, mediatico. Per restare, cioè, il più possibile sulle prime pagine dei giornali. Questo può avvenire decapitando ma anche facendo saltare in aria preziosissime opere d' arte».

In un' intervista al «Giornale di Sicilia», il portavoce dell' Unicef Andrea Iacomini ha denunciato come tantissime bambine era gazze siano state rapite dai miliziani, quindi portate in giro con un cartellino al collo che ne indica il prezzo di vendita. Anche così si finanzia la «guerra santa»?
«Ancora poche settimane fa, alcuni funzionari dell' Onu hanno purtroppo confermato quanto siano tragicamente vere alcune notizie che inizialmente apparivano come un' esagerazione. Lo Stato Islamico avrebbe compilato un vero e proprio listino dei prezzi per le donne che vengono vendute dall' Isis come schiave. Si tratterebbe di bambine, ragazze e donne cristiane, rapite nelle regioni occupate, per le quali lo Stato Islamico avrebbe messo in piedi un vero e proprio mercato regolato da alcune norme imposte dai vertici dell' organizzazione».

Detto in soldoni?
«Questo mercato viene tenuto in grande considerazione dagli amministratori jihadisti, al punto da intervenire per fissare i prezzi di vendita delle schiave. Secondo alcuni documenti rinvenuti nel 2014, ad esempio, una donna tra i 40 ed i 50 anni costerebbe sui 35 euro mentre una bambina non più grande di 9 o 10 anni verrebbe venduta per 150 euro».

Tante, troppe, voci di entrata per lo Stato Islamico. E le spese?
«Quei soldi servono soprattutto alle spese di amministrazione, se così possiamo chiamarle. Il grosso del budget, infatti, viene utilizzato per pagare l' apparato: combattenti ed amministratori. Trai 3 ed i 10 milioni di dollari al mese vengono utilizzati per i salari, secondo le stime più recenti. Pochissime risorse, invece, vengono destinate alle infrastrutture. Soprattutto per paura che tali infrastrutture possano essere colpite dagli attacchi o comunque perse a causa di repentini capovolgimenti di fronte».

Il recente intervento della Russia può cambiare la situazione sul terreno?
«Fino ad ora la Russia non ha sostanzialmente colpito le postazioni dello Stato Islamico, nonostante la propaganda di Mosca affermi il contrario. Da un punto di vista militare, quindi, la risposta è no. L' intervento russo ha avuto, invece, un ruolo indiretto. L' attivismo di Mosca nell' area ha, per così dire, "svegliato" l' amministrazione Obama la quale sembra stia valutando un cambio di strategia verso la Siria.
Dichiarazioni a parte, finora gli Stati Uniti sono rimasti a guardare evitando un coinvolgimento. La presenza di truppe russe in Medio -Oriente sta spingendo Washington ad un maggiore impegno in quella regione».

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