NEW TORK. Nella tragica notte di Parigi gli Stati Uniti infliggono un duro colpo all'Isis, uccidendo il leader dell'organizzazione in Libia. Colui che compare e parla nel drammatico video del febbraio scorso e che mostra la barbara esecuzione di un gruppo di cristiani copti, decapitati su una spiaggia della costa del Paese nordafricano. E che è probabilmente una delle menti della strage del museo del Bardo a Tunisi. Abu Nabil al-Anbari è stato colpito da un caccia F-15 in un'operazione pianificata da tempo dal Pentagono, e non direttamente collegata a quanto accaduto nella capitale francese. Si tratta del secondo successo in poche ore per l'amministrazione Obama, dopo l'uccisione in Siria di Jihadi John. E di una svolta per la strategia americana, che mette a segno il primo attacco contro un obiettivo dello Stato islamico al di fuori di Iraq e Siria. Questo mentre Barack Obama starebbe per valutare una vera e propria escalation della lotta all'Isis. Non a caso, prima di recarsi al summit del G20 in Turchia, ha riunito tutti i suoi più stretti collaboratori nel campo della sicurezza nazionale e dell'antiterrorismo. Quasi un vertice di guerra alla Casa Bianca, con i massimi vertici militari e dell'intelligence. Un vertice che molto probabilmente getta le basi per un cambio di passo definitivo nell'offensiva contro i jihadisti, reso necessario da una guerra che oramai - dopo Parigi e l'esplosione dell'aereo russo nei cieli del Sinai - travalica l'ambito regionale. Una guerra che assume sempre più i contorni di uno scontro globale e a tutto campo. L'uccisione di Abu Nabil può segnare forse l'inizio di questa nuova fase. Il suo vero nome era Wisam al Zubaidi, cittadino iracheno, ex funzionario di polizia ed ex militante di al Qaida. Passato all'Isis, secondo l'intelligence Usa è stato inviato in Libia nel 2014 direttamente dal leader dello stato islamico Abu Bakr al-Baghdadi, che gli ha affidato il compito di reclutare e organizzare i militanti nel Paese nordafricano. E Abu Nabil non ha tradito le aspettative del suo capo, mettendo in piedi in meno di un anno quello che - sempre secondo i 007 americani - è diventato il ramo dell'Isis più forte e pericoloso al di fuori di Siria e Iraq. Ora, la morte del suo leader - assicura il Pentagono - colpisce duramente le capacità di questo gruppo. Capacità che vanno dall'azione di reclutamento alla costituzione di basi e roccaforti in territorio libico, fino alla pianificazione di attacchi al fuori dei confini della Libia, anche in Europa e negli Stati Uniti. «L'operazione - afferma il portavoce della Difesa americana Peter Cook - dimostra come gli Usa perseguiranno l'Isis ovunque si trovi». Parole che si aggiungono al monito del segretario di stato americano John Kerry, che da Vienna promette un'azione più determinata contro i jihadisti dello Stato islamico. Anche perchè il rischio di attacchi sul suolo americano, sul tipo di quanto accaduto a Parigi, si fa sempre più forte. Come dimstrano le misure di sicurezza rafforzate in queste ore in tutto il Paese. Così il «guerriero riluttante», come viene spesso definito Barack Obama, potrebbe essere costretto a imboccare una via diversa da quella percorsa finora. Compresa - affermano fonti dell'amministrazione Usa ed esperti dell'antiterrorismo - quella di un coinvolgimento maggiore sul piano militare: sia intensificando ed estendendo il raggio di azione della campagna aerea contro l'Isis, sia con una presenza più efficace sul campo. Fino a un addio a quel principio dei «no boots on the ground» ('niente soldati sul terrenò) che finora ha ispirato l'azione di Obama, deciso a non ripetere un nuovo Iraq o un nuovo Afghanistan. Ma dopo Parigi - sono ormai convinti anche alla Casa Bianca - nulla può essere più come prima.