ROMA. Progettavano attentati in Europa, e reclutavano nuovi militanti per la guerra del Califfo. Ma a porre fine alle ambizioni del mullah Krekar e del suo gruppo terroristico internazionale affiliato all’Isis, ci ha pensato una brillante operazione condotta dai Ros. Dopo il blitz nella mattinata di ieri, scattato tra Norvegia, Regno Unito, Finlandia, Germania e Svizzera sono finiti in manette in diciassette: sette di loro, sei curdi e un kosovaro, operavano nel nord Italia. «È stata sgominata una cellula terroristica che usava la rete per accorciare le distanze tra i membri del gruppo e progettare attentati in Europa e in Medioriente», commenta il comandante del Ros, Giuseppe Governale. «Sembravano cittadini integrati nel territorio che avevano una vita normale. Ma grazie a profonde indagini condotte sulle loro attività in rete, siamo riusciti a fermare i loro propositi nascosti».
Generale, come si è reso possibile questo importante successo nella lotta al terrorismo?
«L’operazione nasce dal monitoraggio di un’organizzazione terroristica molto attiva sul web, che tramite prassi di collegamento poco note ai non addetti ai lavori, era dedita al reclutamento e alla radicalizzazione dei militanti. Tramite gli accertamenti e i controlli svolti in ambito di prevenzione, siamo giunti all’individuazione di diciassette soggetti kurdo-iracheni sparsi in Europa, che anche in Italia approfittavano della piattaforma informatica per annullare le distanze e tenere coeso il gruppo intorno al loro leader, il mullah Krekar, che continuava a essere la guida ideologica e strategica del gruppo e ne determinava le decisioni».
Quali erano le attività e le finalità del gruppo?
«Se gli arrestati svolgevano da una parte attività pubbliche legate alla divulgazione della sharia tramite alcuni insegnanti, dall’altra si erano resi protagonisti di azioni nascoste che avevano come obiettivo quello di ricostituire un progetto che si era interrotto nel 2001, quando a causa della guerra del Golfo molti membri del gruppo scapparono dal Kurdistan iracheno alla volta di Regno Unito, Germania, Finlandia, Norvegia, Svizzera e anche Italia. L’intento era quello di servirsi della rete per riprendere le fila interrotte anni prima: costituire nel nord dell’Iraq uno Stato che fosse diretta rappresentazione della loro etnia».
In particolare, che cosa è emerso a proposito della cellula italiana?
«Alcuni membri dell’organizzazione si erano trasferiti nelle zona di Bolzano e di Merano, dove sono storicamente presenti insediamenti legati alle varie etnie del popolo curdo. Ma la scelta può essere letta anche in chiave evocativa: il Trentino Alto Adige è una zona montagnosa che può aver vagamente ricordato ai membri del gruppo quel nord dell’Iraq che è il loro territorio di origine. Del resto, c’è un prezioso indizio nel motto che avevano adottato: tradotto in italiano, significa “verso la montagna”.
C’era qualcosa che potesse renderli sospetti?
«Erano persone che non davano nell’occhio e avevano una vita apparentemente normale. Posso dire che si trattava di persone che erano integrate nel territorio e avevano regolare permesso di soggiorno».
Quali particolari responsabilità erano affidate alla “colonna italiana”?
«Quando si parla di indagini di questo genere, non bisogna ragionare in termini tradizionali di territorio, ma concentrarsi piuttosto sulla rete. Dei sette uomini arrestati in Italia, quattro vivevano a Merano, due a Bolzano, e uno in un paesino vicino Bolzano. Ma nessuno di loro svolgeva attività terroristiche manifeste in Trentino Alto Adige. Sul piano pubblico, alcuni di loro si occupavano di divulgare concetti islamisti. Ma era in rete che essi davano corpo alla loro attività criminosa. I membri del gruppo si avvalevano di Skype ma anche di altri strumenti poco conosciuti, per continuare a perseguire gli obiettivi che l’organizzazione si era prefissata. L’idea, come detto, era quella di costituire uno Stato islamico nel nord dell’Iraq. Si portavano avanti attività di proselitismo e reclutamento, al fine di formare personale esperto capace di fornire apprezzabili contributi una volta inviato nelle aree di combattimento».
Truppe che venivano poi messe a disposizione dell’Isis?
«Secondo quanto emerso dalle indagini, l’organizzazione ha arruolato e trasferito in Siria e in Iraq sei uomini che risultano quasi tutti morti in conflitto. Anche se nel 2001 la rete terroristica faceva riferimento ad Al Qaeda, in seguito aveva abbracciato la linea del Califfato. L’obiettivo era quello di combattere sotto l’insegna della bandiera nera dell’Isis nell’idea di trasferirsi più avanti nel Kurdistan iracheno. A medio termine, gli uomini di Krekar puntavano alla creazione di uno Stato nel nord dell’Iraq, che fosse alleato o quanto meno non belligerante nei confronti del limitrofo Califfato».
Ha destato scalpore anche la notizia che il gruppo progettasse attentati anche in Europa. Lo può confermare?
«Dalle conversazioni intrattenute in carcere dal mullah Krekar con familiari e altri visitatori, e dai colloqui in rete tra i suoi adepti, è emerso che c’era l’intento di realizzare possibili azioni terroristiche contro le rappresentanze diplomatiche di Norvegia e Regno Unito in Siria e in Iraq. L’organizzazione puntava a ottenere la liberazione del suo leader detenuto in Norvegia. Ma progettava a tal fine anche attentati in Europa che avevano come possibili obiettivi anche parlamentari norvegesi».
Nella mattinata di ieri si era diffusa sui media la notizia che tra gli obiettivi ci fosse anche l’Italia.
«È una notizia che arriva dalla Norvegia. Ma noi del Ros la smentiamo categoricamente. Chi ha riportato informazioni di questo genere lo ha fatto a partire da elementi divulgati dalla polizia norvegese. Ma l’operazione è del Ros e il Ros precisa che nelle carte non c’è alcun riscontro di possibili attentati in Italia. D’altra parte l’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dall’autorità giudiziaria italiana, sulla base delle nostre investigazioni. E non si capisce perché sia stata divulgata una cosa del genere, in assenza di un’ordinanza dell’autorità giudiziaria norvegese. In Norvegia si è soltanto proceduto gli arresti, sulla base della nostra operazione investigativa. Giova perciò ribadirlo: il Ros reputa questa notizia infondata».
Per voi l’operazione ha anche un valore altamente simbolico. Ce ne parla?
«La data del 12 novembre non è stata scelta a caso. Proprio il 12 novembre del 2003, nelle stesse terre di origine degli individui tratti ieri in arresto, dodici nostri carabinieri caddero nella strage di Nassirya. A dodici anni da quel giorno funesto, l’Arma ha scelto questa data per ricordarli».
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