PALERMO. Nella guerra in Siria e in tutti gli altri conflitti mediorientali «tutto c' è tranne la sfida di religioni». Piuttosto, secondo monsignor Maroun Elias Nimeh Lahham, vescovo di Amman, capitale della Giordania «c' è una politica internazionale che vuole destabilizzare il mondo arabo e il Medio Oriente. E un modo molto efficace è di mettere Dio in mezzo, perché quando si "usa Dio" sono guai seri». Lahham è intervenuto a Palermo in questi giorni al convegno «Religioni, pluralismo, democrazia: le attese dei giovani del Mediterraneo». «È inutile pensare - afferma Lahham - che i conflitti in Siria, in Iraq, in Yemen o in Libia siano religiosi. La Libia è al cento per cento musulmana, lo Yemen pure. Certo che ci sono sunniti e ci sono sciiti, ma il problema non è mai stato questo, perché sunniti e sciiti nello Yemen hanno vissuto assieme per secoli. Dalla Siria sono partiti due terzi dei cristiani, ma è perché non sono abituati alla persecuzione e alla vita dura, neppure lì si tratta di un problema religioso». ••• Come si può fare in modo che i cristiani non emigrino? «Bisogna risolvere il problema della Siria e dell' Iraq. Se si cura la malattia, la gente rimane, perché i cristiani hanno sempre vissuto in Siria, così come in Iraq, fatta salva qualche migrazione fisiologica. Invece, l' immigrazione attuale, con questa intensità, è dovuta all' instabilità politica. Perciò, ricreiamo la stabilità politica, e vedremo che la gente non partirà più, perché è pazzo uno che parte, lascia la sua casa, i suoi figli, se già vive una vita degna nel suo Paese». ••• Lei è stato vescovo di Tunisi. Ci sono punti di contatto tra l' attuale situazione in Medio Oriente e le rivoluzioni nordafricane di qualche anno fa? «La Tunisia può essere definita il laboratorio della democrazia nel mondo arabo, tanto che ha ricevuto la settimana scorsa il premio Nobel per la pace. La Tunisia è riuscita in questo obiettivo, perché la società è molto colta, ed è quasi laica. E, a mio avviso, c' è riuscita anche perché questa rivo luzione è stata fatta in soli diciotto giorni e le grandi potenze internazionali non hanno avuto il tempo di intervenire. Diverso quanto è accaduto in Siria, lì sono intervenute le potenze e il risultato è un Paese devastato. Lo ripeto. Questa èuna politica internazionale perversa, che non vuole dei Paesi arabi stabili». Com' è la situazione dei profughi siriani in Giordania? «La Giordania come il Libano confina con la Siria, perciò chi scappa, più facilmente si ferma in questi Paesi. Più difficile è raggiungere l' Europa. Poi c' è il concetto dell' ospitalità, che per gli arabi è sacra. La Giordania, Paese di sei milioni di abitanti, oggi ospita tre milioni di profughi. Significa un grosso fardello economico, sociale, morale e lavorativo».