«Le Nazioni unite annaspano, inermi di fronte a un nemico che ammazza, sgozza e non fa prigionieri. L’Europa è una trappola che ci rende indifesi, dove tutti subiscono e nessuno può farci niente. Il pianeta scoppia, il clima cambia, il lavoro tracolla. Eppure l’Occidente è immobile. Contempla inerte il suo disfacimento. Ho letto molti libri, ne ho scritto qualcuno. Ma dove finiremo, di questo passo, non so dirlo. La nebbia è fitta. L’approdo è sempre più incerto». Gravata da 91 anni di studi meticolosi, di saggi e riconoscimenti, di avventure mirabili nel mare dello scibile, la voce di Giovanni Sartori non ha ceduto di un millimetro alla stanchezza o alla gloria. L’analisi di quello che è unanimemente ritenuto il politologo vivente più autorevole, resta impietosa, netta, chirurgica. Il suo ultimo libro, che condensa anni di studi, dice molto a partire dal titolo: si chiama La corsa verso il nulla (Mondadori, 105 pagg. 15 euro), ed è come una piccola bussola per orientarsi in un mondo sempre più complesso.
Professore, nel suo ultimo libro parla di un nuovo scontro di civiltà tra Islam e cristianesimo. Siamo sull’orlo della guerra?
«La battaglia di Vienna sancì nel 1683 la ritirata dei musulmani dall’Europa occidentale dopo una lunga battaglia che vide vincere i cristiani. Una guerra che la Chiesa affrontò in prima linea e che fu coronata dal successo. Dopo sette secoli, l’invasore fu sconfitto e ricacciato indietro Oggi che l’Isis sgozza, si espande, devasta, dove diavolo è finita la Chiesa? Perché il Papa non spende una parola sugli eccidi cristiani, sulle stragi dei cattolici in Africa e nel resto del pianeta, sulla persecuzione dei curdi? È di questo che devono occuparsi Bergoglio e gli altri. È su questi temi che dovrebbero prendere posizione, invece di immischiarsi in cose che non gli competono».
Dobbiamo temere la terza guerra mondiale come dice Mattarella?
«Questa non l’ho capita, a dire la verità. Di certo la terza guerra mondiale sarebbe la fine della terra. Con tutte le armi nucleari e chimiche in circolo, il clima già alterato, la mancanza dell’acqua e il ritorno del fanatismo religioso musulmano io una terza guerra mondiale la escludo quasi del tutto. Ciò che conta è porre rimedio alle barbarie dell’Isis. Ho in mente tutt’altro scenario».
L’Isis ha aperto però molti teatri di conflitto: il problema non è circoscritto.
«Ne La corsa verso il nulla l’ho detto a chiare lettere: chi parla di conflitti locali mente spudoratamente. Quelle dell’Isis non sono minacce o atti dimostrativi. Si tratta di terroristi che hanno uno Stato, che vogliono espanderlo, e che ricorrono alla tortura e a ogni sorta di crudeltà per sfidare i loro nemici giurati. Continuano ad ammazzare tutti i prigionieri. Fanno cose atroci che non si vedono neppure in guerra. La comunità internazionale continua a restare inerte perché Cina e Russia hanno diritto di veto alle Nazioni Unite. Ma questa è guerra. E alla guerra si risponde con le armi».
In Libia si sta cercando un accordo con le tribù locali. E intanto il dramma dei migranti prosegue imperterrito.
«Inutile sperare di risolvere le cose per via diplomatica. Bisogna muoversi subito. Sono in arrivo sulle coste calabresi dei pescherecci che hanno a bordo timoni automatizzati che non possono modificare la rotta. Ci stiperanno a bordo 2 o 3mila profughi alla volta. Quando questi missili umani saranno partiti, non ci sarà modo di fermarli fino all’arrivo. Andranno a sbattere, e probabilmente salteranno per aria. Vogliamo fare qualcosa, o preferiamo che muoiano tremila persone alla volta?».
Dovremmo chiederlo all’Europa. Intanto come si affronta la situazione?
«Dovremmo darci una mossa. Basterebbe tenere a distanza i pescherecci dalle nostre acque territoriali intanto. E anzi impedire del tutto che viaggiassero in mare. Dovremmo far saltare per aria zattere e imbarcazioni pronte a salpare. A quel punto resterebbe il mare a dividere due sponde lontane. Da noi, a nuoto, non ci arrivano di certo».
La strada dell’integrazione è senza sbocco?
«L’integrazione non esiste. Quella che noi definiamo tale è in realtà soltanto un patto di reciproca estraneità. Io islamico ignoro te, tu occidentale ignori me. In Inghilterra questo falso mito ha prodotto nuove generazioni di pakistani che sono ancora più animose dei loro padri e inneggiano alla jihad. Chi crede in Allah non può integrarsi. Le civiltà islamiche sono teocratiche. Del diritto occidentale non gli importa niente. Inutile raccontare favole. Obbediscono soltanto alla legge del Corano».
Lamenta nel suo libro che l’Occidente ha smesso di difendere i suoi valori. Ma gli Usa non hanno fatto molte guerre recenti per esportare la democrazia?
«Ma che gli importava della democrazia? Sono state guerre imbecilli fatte da presidenti americani imbecilli. Trent’anni fa non c’era un bel niente da difendere. La Chiesa si era rassegnata alla laicità dello Stato. Di qua comandava il popolo. Di là comandava Allah. La situazione era sotto controllo. Il fatto è che a un certo punto hanno prevalso gli interessi privati. E che personaggi demenziali, del tutto ignoranti in materia di processi storico-politici, li hanno favoriti».
Anche l’Europa non sembra troppo illuminata: il malcontento cresce. Come mai?
«Un’unione di sette o otto stati con una banca centrale che aveva il controllo della moneta avrebbe funzionato benissimo. Il problema è che si è deciso di espandere il progetto e l’Europa è diventata quello che è, cioè un pasticcio. Non è una federazione ma una confederazione. Ci passa un differenza enorme tra le due concezioni. Può esistere una federazione dove si parlano 28 lingue e ci sono 28 eserciti? L’Inghilterra non ha l’euro ma mette bocca su tutto. E sui dazi, su come difendere la propria economia o le proprie coste, decide da sola».
La Grecia ha invece rischiato di uscire dall’euro. Come ne esce l’Europa dalla vicenda?
«L’Europa è un disastro. È il trionfo della finanza. Si è azzerata l’economia della produzione a tutto profitto di denari finti, scollegati dal lavoro. Soldi che vanno e vengono e non corrispondono al sudore della fronte di qualcuno, ma sono frutto dell’astuzia degli speculatori. I leader europei non capiscono, o fanno finta di non capire, che c’è differenza tra produrre qualcosa e fare soldi. Il risultato è che abbiamo tassi di disoccupazione mostruosi, e una crescita ridicola. Per dirlo in sintesi abbiamo creato un’Europa indifesa. Tutti subiscono, e nessuno può farci niente».
Non è il caso di rimettere mano ai trattati?
«Ormai la frittata è fatta. Ma non sono ancora contenti: vogliono metterci dentro come ciliegina anche l’Ucraina. Che cosa c’entra con l’Europa? Le Nazioni unite sono un magnifico centro per l’impiego. Forse hanno bisogno di aprire nuovi uffici dove piazzare il loro personale».
Il quadro che emerge dal suo libro è molto fosco. Sartori consiglia la rassegnazione?
«La sovrappopolazione e il cambiamento climatico sono come due mine piazzate sul nostro futuro prossimo. Gli equilibri politici sono stati travolti e le azioni dell’Isis sempre più terribili e sanguinose. L’incompetenza e il dilettantismo avanzano e fanno il gioco degli appetiti di pochi. Il mondo a venire non sarà facile da abitare e sempre più difficile da comprendere. Ma la rassegnazione, nel mio vocabolario, non esiste. Dopotutto il pessimismo è dannoso soltanto se si trasforma in una resa. Ciò che occorre è realismo e forza di volontà. Desiderio di riflettere e di comprendere. La salvezza viene dalla conoscenza. Di speranza ce n’è ancora: questo mondo può essere ancora salvato da chi legge».
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