NEW YORK. Brad Miller, l'agente che ha ucciso il 19enne afroamericano Christian Taylor, è stato licenziato. Il capo della polizia di Arlington, Will Johnson, lo annuncia a sorpresa: «sarà il gran jury a stabilire se l'uso della forza era giustificato contro un ragazzo disarmato». Le indagini - assicura - intanto proseguono con il suo comportamento sulla presunta scena del crimine, Miller ha messo in moto una serie di eventi che hanno portato alla morte di Taylor. L'agente - riferisce Wilson - è entrato da solo, senza dire nulla ai colleghi: «la paura e il senso di isolamento» che poi ha provato «sono stati il risultato della sua cattiva decisione di entrare nell'edificio senza assistenza e senza un piano per l'arresto». Taylor era finito con la sua auto contro la vetrina di un concessionario di auto Buick. Alcuni agenti, incluso Miller, si trovavano nelle vicinanze per rispondere alla chiamata per furto del concessionario, quando si sono accorti dell'auto di Taylor. Si sono quindi avvicinati e Miller è entrato da solo nel concessionario, innescando «conseguenze a cascata» che hanno poi portato all'uccisione di Taylor a una anno di distanza da Ferguson. Entrando da solo, mentre il suo compito sarebbe stato solo quello di delineare il perimetro della scena, Miller ha messo in pericolo anche gli altri agenti, che hanno dovuto correre per raggiungerlo. La scena che hanno intravisto mentre si avvicinavano è stata quella di Taylor che insultava Miller avvicinandosi verso di lui. Poi un colpo, che pensavano provenisse dal taser di Miller. Si trattava invece della sua pistola di servizio, dalla quale sono partiti altri tre colpi. Taylor non ha mai avuto alcun contatto fisico con Miller e il bozzo nella sua tasca era solo il portafoglio e il cellulare. «È un caso estremamente difficile mette in evidenza Johnson -. Sono state assunte decisioni che hanno avuto esiti catastrofici».