Giovedì 26 Dicembre 2024

Neri: «Lotte intestine dentro la jihad, la violenza non ha una cabina di regia»

PALERMO. I gruppi terroristici sono in rapporto di imitazione e spesso anche di competizione tra loro. Altro che affiliazione I nigeriani di Boko Haram cercano di conquistare primazia mediatica. Il che, peraltro, significa avere più volontari e possibilità di finanziamenti». Claudio Neri, direttore dell' Istituto romano di Studi Strategici «Machiavelli», esclude l' esistenza di una centrale islamista dell' orrore. Niente «casa -madre» per Boko Haram, che anzi in queste settimane ha tentato di rubare i riflettori al Califfato con una raffica di attentati in Camerun, Ciad, Niger e ovviamente Nigeria. Ben 500 le vittime di questa «corsa al massacro». Sabato sera, in un locale camerunense di Maroua, il massacro -l' ultimo di una serie lunga e inquietante - provocato da un' adolescente imbottita di esplosivo: nulla di nuovo, sotto il sole. Perché i gruppi jihadisti fanno sempre più uso di ragazzine kamikaze e bambini soldato? «Questo avviene soprattutto in Africa, anche se la tendenza emerge adesso pure tra i miliziani dell' Isis. Purtroppo, avendo un tasso di natalità molto alto, spesso le bambine e i bambini africani sono merce a basso prezzo e in grande abbondanza. Altro discorso per lo Stato Islamico, che punta a far vedere come ogni fascia di età nella propria popolazione aderisce al credo del Califfato». Oltre un milione e mezzo i nigeriani in fuga dalle loro città e dai loro villaggi, per sopravvivere a una guerra civile che dura ormai da anni. Un' emergenza umanitaria dimenticata? «Sì, e così. Per adesso, le maggiori attenzioni sono puntate sull' Isis. Quindi, su Iraq e Siria. Eppure, Boko Haram può creare grossi problemi perche contribuisce e contribuirà a fare affluire sulle nostre coste tanti profughi. Gli occidentali, però, non sembrano particolarmente attenti a quanto sta avvenendo in Nigeria. Probabilmente, perché si ritiene che in Africa tutto ciò sia scontato». La comunità internazionale aveva sperato in Alcuni analisti ritengono che nel nord-est della Nigeria esista già un' altra wilaya, una provincia dello Stato Islamico. Affermazione sbagliata? «In effetti, non e così. Isis e Boko Haram non sono la stessa realtà. Dobbiamo pensare all' estremismo islamico come a una galassia, formata da diversi gruppi che hanno agende locali. Parlare di provincia del Califfato in Africa significa che crediamo nell' esistenza di una mente unica, o almeno di un coordinamento che punta a perseguire un obiettivo comune. Al contrario, invece, ogni gruppo combatte la propria battaglia. A Boko Haram non importa nulla degli obiettivi del Daesh (lo Stato Islamico, ndr). E viceversa. Piuttosto, bisogna dire che i successi conseguiti negli ultimi due anni dai miliziani in Iraq e Siria hanno portato altre formazioni a sfruttare quel marchio». In Siria e Iraq, intanto, la «coalizione dei volenterosi» a guida statunitense sembra essersi arenata. Le bandiere nere continueranno a sventolare a lungo in quei territori? «Ciò che sta avvenendo in Iraq e Siria e frutto di situazioni più complesse. In quell' area e in corso una risistemazione di equilibri geopolitici che coinvolge Iran, Turchia e Paesi del Golfo ma anche gli Stati Uniti. Fino a quando non si saranno attestati i rapporti di forza, l' Isis continuerà bene o male a muoversi. Per quelle potenze, lo Stato Islamico non e il vero problema. Lo e, invece, la ricerca di sfere di influenza indivise rispetto alle altre. Il Califfato, quindi, continuerà a operare abbastanza liberamente fino a quando le nazioni più forti non troveranno un accordo o, invece, scoppierà una guerra regionale di tipo convenzionale. Questa seconda ipotesi, però, tenderei a escluderla perche le potenze locali tendono a combattersi soprattutto tramite gruppi terroristici e paramilitari, come Hezbollah (formazione sciita attiva in Libano, ndr)». Barack Obama sembra preferire gli accordi diplomatici alle missioni militari. L' intesa con l' Iran sul nucleare, il rinsaldato rapporto con la Turchia, che effetti avranno negli equilibri regionali? «Gli Usa, per vent' anni e passa, sono stati filo -arabi. In questo momento, hanno allentato l' alleanza con Riad e con l' asse sunnita per aprire un rapporto con l' asse sciita. Cioe, con i nemici storici dell' Arabia. Questo spostamento vuol dire che gli Stati Uniti tendono a porsi come mediatori tra i due soggetti, oppure annullano l' alleanza araba a tutto favore di quella con Teheran. Il che comporterebbe un totale sconvolgimento dell' attuale scenario. È una strategia tutta in corso di sviluppo, nella quale l' Europa e purtroppo totalmente assente». E la «conversione» di Erdogan...? «Il premier turco ha capito che stava scherzando col fuoco. Ma e sempre così, quando uno Stato finanzia un gruppo terroristico: se non sei in grado di manovrarlo, prima o poi ti scoppia tra le mani. Erdogan sembra aver compreso che non può lasciare mano libera all' Isis, come ha fatto sinora. Ad ogni modo, stiamo commentando gli eventi degli ultimi due giorni. Vedremo fino a quando il governo turco continuerà a bombardare le postazioni del Califfato, a contrastarlo, dopo avergli garantito per due anni i canali di approvvigionamento». In Italia, ancora nei giorni scorsi altri arresti di presunti terroristi islamici. Cresce l' allarme? «La capacità di controterrorismo delle nostre forze di sicurezza si sta rivelando molto alta. L' attentato può sempre capitare ma, facendo i debiti scongiuri, mi sembra che siamo messi meglio della Francia. Se non altro, perché da noi sono molti di meno i soggetti a rischio da controllare».

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