Tra stragi compiute e reclutamenti che continuano a ingrossare le file jihadiste anche dall' Italia, l' Isis sembra sempre più determinata a mettere a ferro e fuoco il Medioriente, e a seminare terrore tra i «crociati» occidentali. «È già chiaro da tempo che per fermare l'Isis occorre una massiccia azione militare. È ora di intervenire», avverte il generale Carlo Jean, docente di Studi strategici alla Luiss. Generale, come si spiega l' improvvisa recrudescenza dell' Isis, che da giorni sta seminando morte a ogni latitudine? «È molto semplice. Per dirla in modi spicci, l' esercito del Califfo vuole rifarsi dopo le sonore bastonate prese a Kobane e Tikrit. Gli uomini di al-Baghdadi sono ansiosi di alimentare nuovi consensi e paure dopo i recenti smacchi che hanno messo in ombra il mito dell' armata invincibile. E poi c' è la concorrenza di al Qaeda. L' Isis vuole dimostrare agli integralisti musulmani che i terrori sti più minacciosi e più potenti sono loro». È per questa ragione, che oltre a seminare orrore in Siria, l' Isis non smette di spargere sangue anche in Occidente? «L' avvento dell' Isis ha mutato la strategia dei miliziani. Al Qaeda si era concentrata soprattutto sul nemico lontano, sull' occidentale infedele. Il Califfato invece insiste nell' assoggettare nuovi territori vicini, e cioè gli Stati a maggioranza musulmana che non l' appoggiano, senza rinunciare però a operazioni spettacolari oltre frontiera. Stragi dalla grande risonanza mediatica, come quelle che abbiamo visto in Francia, rappresentano ottime cambiali da incassare di fronte ai seguaci». Come vanno letti i recenti attacchi in Tunisia, al Bardo e a Sousse? «Anche se le due operazioni hanno preso di mira turisti stranieri, l' Isis ha voluto recapitare un messaggio molto esplicito alla Tunisia. Lo sviluppo democratico del Paese costituisce per lo Stato islamico una minaccia da contrastare con il terrore. Il Califfo si sente sfidato da sistemi alternativi di stampo occidentale, e fa di tutto per scompigliare i processi di democratizzazione di quei Paesi che non sono asserviti al suo regime». Come dimostrano i recenti arresti in Italia, i foreign fighters sembrano sempre più numerosi. «La propaganda fatta a colpi di gole tagliate, assalti e bombe, è funzionale al progetto. L' Isis deve da un parte i suoi successi in Iraq, Libia e Yemen alla capacità di sfruttare i vuoti di potere provocati dall' antagonismo di fazioni contrapposte come in Mesopotamia, dove si fronteggiano sciiti e sunniti. Dall' altra, il costante afflusso di forze fresche dall' Europa, suggestionate dai "colpi mediatici", consente all' armata del califfo di compensare le perdite patite a causa dei bombardamenti a guida americana». Alcune cellule jihadiste operative in Italia, sono state sgominate di recente. Il nostro Paese è a rischio? «È l' intelligence che ha davvero il polso della situazione attuale. E certo nessuno sarebbe troppo esplici to, se davvero fossimo nel mirino dell' Isis. Più in generale ritengo però che gli arresti rispondano alla volontà di tranquillizzare l' opinione pubblica». L' obiettivo dell' Isis è solo espandersi nei territori vicini? Non c' è l' ambizione di piegare all' Islam l' Occidente? «Gli obiettivi sono due. Il primo, a medio termine, consiste nell' allargare il territorio, mediante attentati a luoghi sensibili come hotel e moschee che obbligano i governi degli Stati vicini ad allentare la vigilanza sui confini e fare il gioco dell' Isis, che così deve confrontarsi con nemici indeboliti nel numero». E a lungo termine? «Nel lungo periodo, i jihadisti puntano all' inveramento dell' antica profezia del Malahim, una specie di apocalisse del mondo cristiano, che secondo l' editto vedrà prevalere i musulmani sugli infedeli. La profezia ha a che fare con la città siria na di Dabiq, una città simbolo che è diventata sinonimo di guerra all' infedele, che non a caso dà il nome alla rivista ufficiale dell' Isis. La propaganda si sta avvalendo di queste fosche previsioni per suggestionare vecchie e nuove reclute, esaltate dalla prospettiva di mandare a gambe all' aria l'Occidente». Intanto la comunità internazionale sembra in preda alla paralisi. È ora di un cambio di strategia? «Per fermare l'ascesa dell'Isis è necessario mettere sul campo truppe di terra che affrontino il nemico e ne scoraggino una volta per tutte le ambizioni. A oggi l' Occidente non ha voluto scatenare la quantità di violenza adeguata a neutralizzare la minaccia islamica. Obama ha sperato di agitare in Siria un nuovo "surge", un'operazione sul modello di quello del generale Petraeus. Ma il piano è fallito. L' America teme che di fronte a operazioni di guerra più massicce, l' opinione pubblica occidentale insorga e si lasci andare a troppi vittimismi. Ma non è più sufficiente bombardare dall'alto. Di fronte a tanta ferocia, è ora di agire».