«Dall’Isis a Boko Haram, da al-Qaeda ad al-Shabab, la mappa delle alleanze jihadiste dice chiaramente che siamo di fronte ad un’autentica holding del terrore». Per Claudio Gambino, docente di Geopolitica e Geocultura nell'Università di Enna «Kore», il venerdì di sangue in Francia, Tunisia, Somalia e Kuwait ha rivelato l'avanzata di una Internazionale dell'Orrore. Che punta decisamente sul Mediterraneo: «Una riva sud totalmente fuori controllo – afferma Gambino - rappresenterebbe quel ponte verso l’Europa a cui aspira il Califfo». I massacri di venerdì sono stati preceduti dall'appello omicida contro «crociati, sciiti e apostati» lanciato dal portavoce dell'Isis, Muhammad al-Adnani. Anche i «qaedisti» di al-Shabaab hanno risposto. Sorpreso? «Al Qaeda e l’Isis viaggiano parallele ma non sono due rette che non si incontrano mai. Sono due organizzazioni sunnite e procedono, come una morsa a tenaglia, attraverso Siria, Turkmenistan, Afghanistan e Pakistan in direzione di un medesimo e grande obiettivo. Al-Qaeda e l’Isis vogliono l’Iran: distruggere l’apostata sciita per far nascere un grande Califfato globale». Quattro Paesi colpiti in un giorno solo. Uno Stato vale l'altro, o si tratta di una scelta precisa? «Non è vero che i fondamentalisti di Allah colpiscono dove è più facile colpire. In una guerra asimmetrica non si sprecano pallottole e l’Isis colpisce realmente là dove intende colpire. Quattro Stati in tre Continenti ne sono la dimostrazione. La Tunisia è un pugile alle corde, ma soprattutto è un elemento geografico imprescindibile per ridisegnare la cartina di un Maghreb sempre più islamico. In Kuwait invece si è registrato l’ennesimo attacco contro le moschee sciite e questo fa parte di un progetto “genocidario” finalizzato allo sterminio dei seguaci di Alì». Restano Francia e Somalia... «La Francia, la cui intelligence sta vivendo il periodo più buio della sua storia, costituisce ormai per il Califfo una sorta di seconda casa, utile a dimostrare l’elevata capacità di valicare le linee nemiche, ottenendo, simultaneamente, un grande ritorno in termini di propaganda mediatica, un invito esplicito a emulare l’operazione del martire kamikaze e il dispendio di risorse economiche-militari da parte del nemico, costretto ad adeguare, ad esempio, la sicurezza di impianti simili a quello colpito. Infine la Somalia, dove sono state prese di mira le truppe di peacekeeping dell’Unione Africana, questo, però, non è un attacco contro un singolo Stato ma è, piuttosto, un messaggio intimidatorio contro un’intera macroregione. La destabilizzazione del Corno d’Africa e della Regione dei Grandi Laghi, infatti, è il primario obiettivo dei miliziani di al-Shabab. Probabile, in tal senso, il rinvio delle elezioni in Burundi». In Tunisia, alcuni analisti parlano di «guerra in corso tra fazioni contrapposte nel campo jihadista». Cioè? «L’importanza della Tunisia non è solo geografica, ma anche simbolica, perché è uno dei Paesi più secolarizzati del Nord Africa e farlo crollare equivarrebbe ad un’ineguagliabile rivalsa sui ”crociati-colonizzatori”. Questo fa della Tunisia un campo di battaglia aperto dove si fronteggiano almeno tre fazioni antagoniste. Oltre all’acclarato ed elevatissimo numero di tunisini che hanno abbracciato la causa dell’Isis, a contendersi una fetta di terra e di potere vi sono i militanti di Okba Ibn Nafaa, fazione jihadista vicino ad al-Qaeda e i salafiti di Ansar al-Sharia, gruppo estremista molto potente in Libia ma radicatosi anche in Tunisia durante il governo di Ennhada. Intanto, la prima mossa del Premier tunisino Essid, all’indomani della strage sul Golfo di Hamamet, è stata quella di ordinare la chiusura di 80 moschee, ritenute al di fuori del controllo statale e ree di aver incitato alla violenza e al terrorismo». Unione Europea, Stati Uniti e Onu, intanto, dovrebbero finalmente occuparsi di Libia. Cercare una soluzione. La crisi nell'ex regno di Gheddafi rischia di destabilizzare tutto il Nord Africa? «Siria, Iraq, Libia e Tunisia: tre failed states e il quarto sull’orlo del precipizio. A rischiare, però, è l’intero Mediterraneo. La Comunità internazionale, dunque, al pari di una cellula dormiente, dovrebbe svegliarsi e passare dalla politica del dire alla politica del fare. Nel contempo, non bisogna assolutamente essere miopi perché, mentre tutti guardano a sud, al-Baghdadi, con meno clamore e attraverso il Kosovo, sta aprendo una breccia nell’area balcanica. Bisogna, quindi, individuare uno o più Stati-leader capaci di condurre a termine l’inevitabile guerra contro il Califfato. Tale compito potrebbe ricadere sulla Turchia oppure, in antitesi, sui Curdi concedendogli, però, a fine conflitto, lo Stato cui ambiscono». Francia ancora sotto attacco. Inevitabile che a Ventimiglia, come altrove, vengano ulteriormente alzate le barriere anti-migranti? «Piuttosto che sbarrare le strade alle nuove famiglie di migranti e alimentare la paura e l’odio delle grandi masse, utilizzando una subdola demagogia, tanto la Francia quanto l’Italia e il resto d’Europa dovrebbero più meticolosamente procedere al monitoraggio dei propri cittadini naturalizzati. Anche a causa delle carenti politiche di integrazione, infatti, sono gli “europei” di seconda generazione a cadere nel vortice dell’estremismo islamico, per mezzo di quelle che Bassam Tibi definisce “società parallele”. Contestualmente, nel complesso gioco geopolitico internazionale, l’Unione europea deve maggiormente impegnarsi per la stabilizzazione dei Paesi di origine, perché in un mondo globalizzato, la rabbia che nasce lì esplode nei nostri quartieri». Un sondaggio Ipsos rivela come in due mesi sia raddoppiata la percentuale di italiani che considerano una minaccia il fenomeno migratorio perchè «connesso al terrorismo». Solo effetto della propaganda di leghisti e affini? «Partiamo da quello che considero un assioma, ovvero, è nostro dovere soccorrere i naufraghi, ma è anche un nostro sacrosanto diritto difendere la sicurezza del nostro territorio. Terrorismo e immigrazione sono indubbiamente i due temi più caldi dell’agenda internazionale e da più parti si ritiene che possa esserci una connessione tra i due elementi o, per meglio dire, si teme che i flussi migratori incontrollati possano essere vettore del fenomeno terroristico. Senz’altro, è necessaria una più equa distribuzione dei flussi, che non possono gravare esclusivamente sul Paese di arrivo. Sul piano della prevenzione, invece, più rigorosi e celeri devono essere i provvedimenti di espulsione nei confronti di potenziali o aspiranti terroristi».