ROMA. Centinaia di cadaveri, molti ridotti a scheletri, sotterrati in fosse comuni o lasciati a marcire nella foresta, in mezzo ai sentieri, nel letto del fiume in secca, nelle case date alle fiamme. È l'atroce scoperta fatta a Damasak, località nello stato nord-orientale nigeriano di Borno, da un comitato governativo inviato dal neo-presidente, Muhammadu Buhari, per verificare la situazione nella città, conquistata mesi fa dai fondamentalisti islamici. I Boko Haram erano stati poi costretti a ritirarsi definitivamente il 24 marzo dopo sanguinosi combattimenti. Nelle ultime ore, inoltre, l'esercito ha registrato un altro successo, distruggendo tre campi dei terroristi e liberando circa 300 donne, di cui 200 ragazze. Tra le studentesse del liceo di Chibok, rapite esattamente un anno fa. La delegazione dell'inviato presidenziale è arrivata a Damasak dal Niger e lungo il tragitto si è resa conto che «era stata compiuta un'atrocità su larga scala» da uomini imbestialiti che, in ritirata di fronte all'avanzare della coalizione africana, hanno massacrato centinaia di donne e bambini. Poco più di un mese fa, preparandosi alla fuga, i jihadisti avevano rastrellato gli edifici della città, uccidendo gli uomini e radunando le donne e i bambini nelle scuole e negli edifici comunali. Allora alcuni sopravvissuti avevano raccontato che almeno 50 uomini erano stati massacrati sul posto mentre le donne e i bambini - più di 400 - erano stati caricati su camionette o costretti a seguire a piedi i miliziani Boko Haram che si inoltravano nella foresta. Si era pensato, allora, all'ennesimo sequestro di massa: centinaia di schiavi e di schiave da vendere o da «usare» per combattere o per crudeli giochi. Il destino della gente di Damasak si era invece già compiuto, là dove nessuno poteva vedere. Tutti ammazzati, sepolti frettolosamente in fosse comuni o lasciati a decomporsi nella giungla o nel letto di un fiume in secca, alla mercè degli animali. I media locali riferiscono che gli inviati del presidente hanno lavorato per tutto il fine settimana per recuperare e seppellire i resti delle vittime, in parte aiutati dai soldati dell'Unione africana, che ormai presidiano l'area e che oggi hanno comunicato una nuova vittoria: è fallito, hanno affermato, l'attacco dei jihadisti di Boko Haram all'isola Karamga, sul lago Ciad, specchio d'acqua con un perimetro di quasi 700 chilometri suddiviso tra Nigeria, Niger, Camerun e Ciad. I miliziani, secondo il governo di Niamey, sono stati annientati dopo una settimana di combattimenti. «Speriamo che sia davvero l'inizio della fine di Boko Haram», ha commentato monsignor Oliver Dashe Doeme, che si sta occupando degli sfollati, che in alcune località hanno cominciato, cautamente, a tornare alle loro case. Il vescovo ha fiducia nel nuovo presidente Buhari, un generale musulmano «che ha una solida esperienza in campo militare», ha spiegato. «Combattere i Boko Haram è una priorità del suo governo e finalmente possiamo sperare nella fine di questa follia». In effetti, prosegue con successo l'offensiva dell'esercito nella foresta di Sambisa, uno dei principali rifugi dei Boko Haram. Un portavoce ha riferito di aver distrutto tre campi dei terroristi e di aver liberato 200 ragazze e 93 donne e che si sta verificando la loro identità. La speranza è che tra di loro ci siano le studentesse del liceo di Chibok rapite il 14 aprile 2014. Cinquanta di essere erano riuscite a fuggire poche ore dopo il blitz dei terroristi. Di altre 219, però, non si hanno avute più notizie.