GINEVRA. La scadenza è passata e l'accordo tra gli Usa e le altre potenze mondiali con Teheran ancora non c'è. Ma la maratona negoziale in Svizzera sul programma nucleare iraniano va avanti comunque, anche se Obama inizia a perdere la pazienza e minaccia di rovesciare il tavolo. Le delegazioni, ancora impegnate in una serrata serie riunioni, cercano di rassicurare, affermando che ormai c'è intesa su tutti gli elementi 'chiavè, ma i segnali che arrivano sono quantomeno contrastanti. A cominciare dal fatto che l'Iran, ha detto un portavoce della Casa Bianca, non ha finora offerto i necessari «impegni tangibili» e, in mancanza di accordo, gli Usa e la comunità internazionale sono «pronti ad andarsene». Che l'ultimatum possa essere una tattica negoziale per stringere i tempi non è certo da escludere. Ma la giornata resta segnata da messaggi confusi.
Passata la scadenza per raggiungere un accordo quadro, prevista per la mezzanotte scorsa, prima si era detto che entro oggi si sarebbe arrivati ad una dichiarazione congiunta, poi l'agenzia russa Tass ha scritto che i negoziati potrebbero essere prolungati fino a domani, mentre altre fonti non escludono che si possa andare anche oltre. La Casa Bianca ha iniziato a fare la voce grossa. «Finchè i negoziati produrranno risultati gli Usa non porranno fine alle trattative in maniera brusca e arbitraria», ha premesso il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest. In caso contrario, ha avvertito, l'Iran «potrebbe ritrovarsi a subire nuove e più pesanti sanzioni» e «il presidente Obama potrebbe considerare diverse opzioni». Il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov aveva affermato ieri che ormai «un accordo su tutti i punti chiave è stato raggiunto», ma poi nel corso della notte è ripartito da Losanna e altrettanto hanno fatto i suoi colleghi cinese e francese. Dal canto suo, il segretario di Stato Usa John Kerry, che aveva previsto di partire oggi, ha invece rinviato dopo aver aggiornato in videoconferenza Obama.
Ieri si è incontrato per il settimo giorno di seguito col ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, che è ormai il capo di una diplomazia con cui Kerry ha trascorso più tempo da quando è alla guida del Dipartimento di Stato. «Credo che abbiamo un'ampia intesa quadro, ma ci sono ancora delle questioni chiave su cui si deve lavorare», ha puntualizzato a sua volta stamattina il ministro degli Esteri britannico Philip Hammond, che pure è ancora a Losanna, così come il suo collega tedesco Frank Walter Steinmeier e l'Alta rappresentante per la politica estera europea Federica Mogherini, che preside i negoziati. Pure il vice ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi aveva parlato della possibilità di una dichiarazione congiunta entro oggi, ma ha anche lasciato capire che il documento non conterrebbe elementi specifici, attirandosi così una sorta di anonima smentita da parte di un funzionario Usa, secondo cui i membri del '5+1' (Usa, Russia, Cina, Francia, gran Bretagna e Germania) non accetteranno un documento che non contenga dettagli.
Ed è stato lo stesso Araqchi, in un'intervista alla tv iraniana Channel One, ad indicare i nodi ancora da sciogliere dal punto di vista di Teheran: rimozione immediata delle sanzioni e libertà di ricerca e sviluppo. Una dichiarazione politica congiunta è importante, specie in vista della scadenza per l'accordo definitivo e dettagliato fissata al 30 giugno, ma Obama ha bisogno di elementi concreti da mostrare già ora ai parlamentari - sia repubblicani che democratici - che in Congresso si oppongono all'intesa con Teheran e che minacciano di mettersi di traverso con due disegni di legge per avere l'ultima parola sull'eventuale accordo e per imporre nuove sanzioni all'Iran. E «impegni tangibili» servono anche per mostrarli agli alleati più recalcitranti, in particolare ad Israele, il cui premier Benyamin Netanyahu ancora oggi ha ribadito che quella che si profila è «una cattiva intesa che danneggia Israele, il Medio Oriente e il mondo intero».
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