ROMA. Trucidati in nome del fanatismo e radicalismo religioso. Dalla Nigeria all'Africa subsahariana, dalla Siria all'Iraq, fino alla strage odierna in Pakistan, si allarga a macchia d'olio la mappa della persecuzione dei cristiani nel mondo. Una lunga scia di sangue che li vede sempre più sotto attacco con arresti, deportazioni, torture, stupri e decapitazioni. Tra i crimini recenti più efferati la barbara uccisione dei 21 cristiani copti, rapiti a Sirte in Libia dai miliziani affiliati al sedicente Stato islamico. Un vero e proprio supplizio quello inflitto loro: umiliati e decapitati con le immagini della loro esecuzione diffuse sul web. Le limitazioni alle libertà religiosa conoscono un triste primato anche in Daufur con stupri di massa. Ma ancora più agghiaccianti sono i massacri compiuti in Nigeria dai fondamentalisti islamici Boko Haram. Un radicalismo che li ha portati a bruciare chiese e templi, a violentare e a massacrare chiunque si opponga al loro fanatismo. Non da meno i tormenti inflitti ai cristiani in Medio Oriente. In Iraq sono circa 120.000 quelli costretti a fuggire dalle loro case sotto l'incalzare dell'avanzata dei jihadisti dell'Isis nell'estate dello scorso anno. Il più grave attacco alla loro comunità risale al 31 ottobre del 2010, quando l'allora Stato islamico in Iraq - branca di al Qaida nel Paese - diede l'assalto alla cattedrale cattolico-siriaca di Nostra Signora del Soccorso a Baghdad, massacrando 53 persone. Nella vicina Siria a macchiarsi dei più efferati episodi di violenza sono stati invece i miliziani del Fronte al Nusra, la branca locale di Al Qaida, con sequestri e uccisioni. Per scampare ai martiri in molti scelgono di partire, ma chi decide di restare o vi è costretto vive un vero e proprio inferno di angherie e soprusi. In altre parole "profughi a casa nostra", come ha denunciato recentemente nella sua toccante testimonianza alla Camera dei deputati l'arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Butros Marayati. I cristiani perseguitati trovano un ostacolo nel lasciare il Paese perché non è loro riconosciuto lo status di profughi e quindi per lo più "vanno in Libano in attesa di un visto che non si sa se arriverà", ha aggiunto Marayati. Ma oltre allo strazio del corpo, la persecuzione può passare anche attraverso i simboli come è accaduto a Tel Hamis, località nell'est della Siria vicino all'Iraq, con la rimozione delle croci e dei crocifissi dalle chiese, poi a loro volta distrutte. Un "ecumenismo del sangue", ha denunciato a gennaio il Papa che oggi ha pregato affinché questa "persecuzione, che il mondo cerca di nascondere, finisca".