Sarà bene che il governo prenda una posizione chiara su quello che sta accadendo in Libia. Perché sarà certamente vero che si tratta di una questione internazionale ed europea. Ma prima di tutto è una questione italiana. Non solo perché ormai i miliziani dell’Isis sono accampati a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste ma soprattutto perché controllano fonti di energia strategiche.
I tubi del gas libico arrivano a Gela. E a Tripoli c'era l'Eni come società petrolifera più importante. Senza un intervento immediato, lasceremo i rubinetti in mano ad un nemico che aspetta solo di distruggerci.
Ma c'è di più. Chiusa la Libia saremo costretti a utilizzare sempre di più il gas che viene dalla Russia. Sta gia accadendo e nessun'anima bella è autorizzata a manifestare se Putin accentua la sua libertà d'azione in Ucraina. Più l'area del Nord-Africa viene destabilizzata e più cresce il potere contrattuale del Cremlino. Nessuno lo dimentichi. Soprattutto quanti si scandalizzano per l'intermittenza con cui la tregua a Donetsk viene rispettata.
Questo, ovviamente, non significa dare il via ad iniziative estemporanee né, tantomeno, operazioni estranee alla legalità internazionale. Chiediamo solo un po' di chiarezza. Su questo punto, infatti, abbiamo sentito un po' di stonature. Due settimane fa il ministro Gentiloni, con grande chiarezza ha detto che bisogna prepararsi ad un intervento militare visto che il terrore nero dell'Isis riconosce solo la forza delle armi. Il titolare della Difesa, Roberta Pinotti, ha fatto da sponda annunciando che il dispositivo di sbarco poteva essere in funzione nell'arco di poche settimane. Il premier Renzi, invece ha messo l'alt sostenendo che non era ancora tempo di mostrare i muscoli. Meglio utilizzare la diplomazia.
Possiamo capire la prudenza. Non atteggiamenti così ondivaghi. È ormai chiaro che l'Isis non si ferma con i proclami. Si muove come un uragano scuotendo tutti i territori già in conflitto. È partito dall'Iraq, si è spostato in Siria, ora tocca la Libia e minaccia l'Egitto. Nel frattempo fa l'occhiolino all'estremismo religioso in Tunisia nel tentativo di destabilizzare l'unica democrazia fiorita dalle primavere arabe.
In mezzo a questo complicatissimo mosaico composto da interessi religiosi, economici e politici c'è la Sicilia. Una terra che deve essere difesa a tutti i costi. E lo diciamo senza paura di essere accusati di localismo visto che mai in passato abbiamo risparmiato critiche ai tanti vizi di questa terra. Ora, però, c'è un'emergenza superiore. L'orologio del tempo si è messo a correre al contrario riportando il Mediterraneo al centro della geopolitica mondiale. Così anche la Sicilia recupera la sua strategica centralità. Diventa il fronte più esposto dell'attacco all'Europa. «Siamo a Sud di Roma» proclama il Califfo nero. Meglio non prenderlo sottogamba. Con la piena disponibilità del petrolio libico ha i mezzi per comprare uomini e armi. Ecco perché bisogna fermarlo subito. Prima che possa organizzarsi.
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