ROMA. Dopo mesi di attesa e di uso su pochi pazienti trattati in occidente, insufficiente per ottenere indicazioni sull'efficacia, i primi farmaci sperimentali contro Ebola sbarcano in Africa. Ad essere testati saranno due antivirali che hanno dato buoni risultati in laboratorio, mentre la loro sicurezza è già stata provata nell'uso per altre malattie. Uno dei test verrà condotto da Medici Senza Frontiere nel suo centro in Liberia. I medici testeranno un antivirale, il brincidofovir, sui pazienti che daranno il loro consenso a riceverlo, mentre in caso contrario avranno le cure standard. La ricerca, riferisce la Bbc, è coordinata dalla Oxford University e i primi risultati sono attesi già a fine febbraio. Un altro studio con un farmaco simile, il favipiravir, messo a punto da una controllata della giapponese Fuji, è iniziato invece a fine dicembre in Guinea. «Fare studi clinici su farmaci sperimentali - commenta Peter Horby, uno dei ricercatori coinvolti nel primo tudo - nel mezzo di una crisi umanitaria è un'esperienza nuova per tutti, ma siamo determinati a non deludere gli africani. Stiamo provando diversi approcci contemporaneamente dato che c'è solo una breve finestra di opportunità per contrastare il virus durante l'epidemia». Anche sul fronte dei vaccini ci sono delle novità, con la multinazionale Johnson and Johnson che ha annunciato l'avvio dei test di sicurezza di un suo trattamento immunizzante, per ora in Gran Bretagna e in Svizzera, che si aggiungerebbe ai due, fra cui quello messo a punto in Italia, in attesa di iniziare la fase 2 dei test. Proprio nel momento in cui si comincia a parlare concretamente di terapie per Ebola scoppia una polemica sui trattamenti di supporto che già si possono fare, e che possono comunque migliorare la sopravvivenza, iniziata con un editoriale sulle pagine di Lancet. Secondo Ian Roberts della London School of Hygiene and Tropical Medicine e Anders Perner della University of Copenhagen ad essere negata ai pazienti è soprattutto la somministrazione di liquidi per via endovenosa. «Le organizzazioni si sono fatte fuorviare nel considerare Ebola una malattia per cui non c'è trattamento - scrivono - mentre ci sono alcune cose semplici, come rimpiazzare i fluidi persi, fino a 10 litri al giorno a causa di vomito e diarrea, e ristabilire i livelli di elettroliti, che possono aumentare di molto le probabilità di sopravvivenza». Secondo i due esperti proprio la migliore qualità delle cure 'normalì ha fatto sì che le persone curate in occidente abbiano mostrato un tasso di mortalità molto basso. D'accordo con questa visione anche l'Ong statunitense Partners in Health, che dalle pagine del New York Times critica per bocca del vicepresidente Paul Farmer la decisione di Medici Senza Frontiere di non effettuare la reidratazione endovenosa, giustificata dall'alto numero di pazienti, che concede solo un minuto a visita ai medici, oltre che dai rischi di una procedura che prevede di inserire un ago in una vena di una persona sicuramente malata.