«A Parigi, nella sede di ”Charlie Hebdo”, un commando di assassini professionisti ha solo applicato la Sharia, la legge islamica. Esattamente come fanno ogni giorno alcuni Stati arabi, ad esempio Yemen e Sudan, dove ancora oggi per blasfemia si viene giustiziati». Carlo Panella, editorialista, esperto di questioni mediorientali, parla di «strage annunciata» commentando l’assalto jihadista di ieri nella redazione del giornale satirico francese: «Nessuna sorpresa. Questo è un attentato concepito per cercare consenso nella Umma, nella comunità islamica. Tra coloro, cioè, che nel 2005 e nel 2006 sfilavano in tutto il mondo urlando ”a morte, a morte” contro chi, come lo ”Charlie”, aveva pubblicato vignette su Maometto (per la prima volta apparse dieci anni fa sul quotidiano danese ”Jyllands Posten” a firma di Kurt Westergaard, ndr)». Francia sotto attacco? «Era assolutamente scritto che vi sarebbe stato un attacco in una grande città europea. La Francia è in prima fila nella coalizione anti-Isis, impegnata contro il Califfato nero. Era persino scontato che avvenisse qualcosa del genere, peraltro a opera di sicari addestratissimi capaci di colpire una sede provvista di sistemi di sicurezza, realizzare un massacro e andare via indisturbati. Altro che dilettanti lupi solitari!». Anche per l’Italia, un incubo che diventa maledettamente più concreto? «Credo proprio di sì. Pure noi, d’altronde, facciamo parte della coalizione impegnata in Iraq e Siria. Va, poi, aggiunto un altro elemento che riguarda la Chiesa e appare legato a una caratteristica nuova, di svolta, contenuta nell’episodio di Parigi...». Quale «svolta»? «I terroristi, attaccando lo Charlie, hanno puntato a ottenere grande solidarietà nel mondo musulmano. E credo, purtroppo, che la troveranno. Non a caso, questi macellai hanno gridato di essere riusciti a vendicare il profeta. Ripeto: hanno applicato la Sharia, come avverrebbe in Arabia Saudita o altrove a chi decidesse di pubblicare vignette satiriche che sono considerate blasfeme. In fondo, Asia Bibi (cattolica, da cinque anni in carcere, ndr) è stata condannata a morte in Pakistan per molto meno». Perchè tutto questo dovrebbe far salire l’allerta attorno al Vaticano? «Innanzitutto papa Ratzinger può essere un obiettivo dei fondamentalisti per il suo discorso di Ratisbona, che suscitò tanto clamore tra gli islamici (Benedetto XVI, il 12 settembre 2006, tenne una lezione magistrale nell’Università tedesca e fu accusato di avere indicato fede e violenza come prodotto inevitabile della dottrina di Maometto, ndr)». A sorpresa, inoltre, papa Francesco ha recentemente giustificato l’uso della forza per fermare le violenze dell’Isis. Altro motivo per temere un attacco jihadista? «Sì, ma Bergoglio ha pure precisato che ciò può avvenire unicamente all’interno della legalità internazionale. Se, però, rappresenta un imperativo etico difendere i cristiani da chi li sta massacrando in massa da anni, non si può certo sottoporre tutto questo alle regole del diritto internazionale. Mica puoi rinunciare, perchè la Russia pone il veto in Consiglio di sicurezza!». La lotta al «Califfato dell’Orrore», comunque, sembra produrre risultati. O no? «Falsi annunci. I peshmerga iracheni sono riusciti a bloccare l’assedio di Kobane, ma nel frattempo i miliziani dello Stato Islamico sono riusciti a conquistare altre basi strategiche. E, soprattutto, non stanno arretrando minimamente dai territori conquistati». Rapimenti e stragi persino tra i correligionari sunniti delle tribù irachene non costituiscono, per lo Stato Islamico, un segnale di debolezza? «Le tribù irachene sono in larga maggioranza ancora dalla parte dell’Isis, solo una minoranza s’è staccata. Tutta colpa dell’Iran che ha imposto al governo di Baghdad una linea di totale isolamento degli sciiti, a favore dei sunniti. Purtroppo, però, Obama e i suoi continuano a non prendere posizione tra Iran e Arabia Saudita». Abu Bakr al-Baghdadi, intanto, fa seguaci anche lontano da Mosul. Bisogna avere paura della nascita di un emirato a Derna, in Libia? «È inquietante notare come si stiano radicando a Gaza e in Libano, oltre che in Libia. Hanno pure ottenuto la fidelizzazione di Boko Aram in Nigeria. Il quadro complessivo, a un anno esatto dalla loro esplosione politica in Mesopotamia, è assolutamente disastrosa». Sicilia pericolosamente vicina? «Non ritengo che la Sicilia sia a rischio di attentati, non ci sono obiettivi strategici. Può, invece, essere una base logistica di passaggio per i terroristi. Sono altri, ad ogni modo, i loro target». Del tutto inutili le politiche di integrazione, qui come in Francia, per prevenire fenomeni di terrorismo islamico? «In Francia, gli islamici sono decisamente meno integrati che da noi. Se a Palermo vedi la scuola tunisina a un passo dal Municipio e vedi musulmani in gran numero in giro nei centri storici delle città italiane, lì sono invece confinati e isolati nelle periferie. Nelle banlieu. La deriva comunitaria fu denunciata già da una commissione voluta da Chirac. La tensione è altissima. Non dimentichiamo, d’altronde, che ogni anno 3 mila ebrei lasciano la Francia per la diffusa intolleranza sociale degli islamici». Incapacità delle istituzioni pubbliche, o «rifiuto identitario»? «Ritengo che sia più giusta la seconda. Da noi, l’ultimo studio serio sul fenomeno fu fatto con Giuliano Amato ministro dell’Interno e in quell’occasione il 54 per cento degli immigrati dichiarò che preferiva mantenere la propria identità. Non esiste in Europa un fenomeno riuscito di integrazione, soprattutto per quel che riguarda gli islamici. Tutti gli immigrati, d’altronde, puntano sempre a tornare un giorno nella loro patria. Valeva anche per i siciliani sbarcati in America. Quindi, se è così, perchè non mantenere propria lingua e propri costumi?».