Lunedì 23 Dicembre 2024

Grecia, Papandreou fonda nuovo partito: il Movimento dei democratici

ATENE. George Papandreou, ex premier greco ed ex leader del Pasok, ha annunciato la nascita di un nuovo partito che prenderà parte alle elezioni del 25 gennaio. Papandreou ha presentato il Movimento dei Democratici socialisti davanti a migliaia di sostenitori. Il leader socialista ha affermato con decisione la sua indole riformista contro il vecchio "corrotto" sistema che ha causato la prolungata crisi finanziaria della Grecia. Papandreou ha guidato il Pasok, fondato dal padre nel 1974, dal 2004 al 2012. Come premier, dal 2009 al 2011, ha sostenuto il peso della crisi e l'onere di firmare un accordo di salvataggio con la Troika che, sebbene abbia evitato il default al paese, è stato fortemente avversato per le dure condizioni di austerity imposte alla popolazione. Con i nuovi partiti della sinistra anti-austerità di Syriza e Podemos, fieri oppositori delle politiche volute da Angela Merkel, in testa ai sondaggi in Grecia e in Spagna, e l'euroscetticismo dell'Ukip di Nigel Farage che tiene banco in Gran Bretagna, l'Europa a guida Jean Claude Juncker guarda col fiato sospeso al calendario dei principali appuntamenti elettorali del 2015. Mentre il presidente della Bce Mario Draghi richiama i governi dell'Unione a impegnarsi di più nelle riforme per rafforzare una ripresa ancora «debole e irregolare», e annuncia «preparativi tecnici» per modificare le misure dell'Eurotower da mettere in campo in caso di necessità, analisti e addetti ai lavori avvertono sui rischi che potrebbero derivare dalla vittoria di forze, per motivi diversi, anti-Ue. Il giro sull'ottovolante, con temibili ripercussioni sui mercati finanziari, prende il via il 25 gennaio, con le elezioni politiche in Grecia, dove il ritorno alle urne si è reso necessario dopo la mancata elezione del presidente della repubblica. Gli ultimi rilevamenti sulle intenzioni di voto vedono Syriza al comando: la forza di sinistra anti-Troika (Ue, Bce, Fmi) guidata da Alexis Tsipras conta su un consenso intorno al 30%, con una forchetta tra i tre ed i cinque punti percentuali sui conservatori di Nea Dimokratia di Antonis Samaras. «La posta in gioco - secondo il premier uscente - è la permanenza stessa del Paese nell'Europa e nell'euro». Mentre l'economista Lorenzo Bini Smaghi evidenzia: se il governo non metterà in atto le misure per cui si è impegnato, «inclusa la ristrutturazione del debito, la rete di salvataggio creata negli ultimi anni in Europa rischia di saltare, facendo precipitare il continente in una nuova crisi profonda». L'Ue sarà di nuovo sulle montagne russe il 7 maggio, con le elezioni generali in Gran Bretagna. Sebbene il risultato elettorale si annunci «imprevedibile», come sottolineano da più parti numerosi osservatori, il partito euroscettico guidato da Nigel Farage, che ha fatto di immigrazione e uscita dall'Unione il suo cavallo di battaglia, punta a fare man bassa di seggi. Una presenza massiccia di rappresentanti dell'Ukip in Parlamento potrebbe accelerare, o comunque dare un segnale sulla cosiddetta «Brexit», ovvero l'uscita della Gran Bretagna dell'Unione europea, ipotesi che il premier conservatore David Cameron ha promesso comunque di verificare con un referendum nel 2017, in caso di rielezione. A dicembre, a tenere col fiato sospeso, saranno poi le elezioni in Spagna, dove i sondaggi vedono in testa gli 'indignatì di Podemos, guidati da Pablo Iglesias, partito che si sta già affermando come principale alternativa al governo conservatore di Mariano Rajoy, e rafforzatosi dopo l'esplosione di alcuni casi di corruzione che hanno visto coinvolti, come in passato i socialisti, diversi esponenti del Partido popular. Come Syriza, Podemos fa parte della Sinistra europea al Parlamento di Strasburgo, e si contrappone all'ordine liberale che forma l'ossatura dell'Unione europea, così come l'abbiamo conosciuta fino ad oggi. Il partito di Iglesias, che idealmente forma già un asse con quello di Tsipras (di recente si sono scambiati reciproci auguri di vittoria), è infatti favorevole a nazionalizzare i settori strategici dell'economia, contro la liberalizzazione del mercato del lavoro fatta in Spagna sia tanto da Zapatero quanto da Rajoy.

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