WASHINGTON. Obama contro Kim Jong-un: i dittatori non impongono la censura al Paese delle libertà. Perchè ora è tutto chiaro, le prove sono sul tavolo: i pesanti attacchi informatici alla Sony sono arrivati dalla Corea del Nord, direttamente dal regime di Pyongyang. E gli Stati Uniti passeranno al contrattacco, reinserendo la Corea del Nord nei paesi sponsor del terrorismo. «Risponderemo, nelle modalità e nei tempi che decideremo», ha affermato il Commander in Chief. Non è accettabilè, ha detto, che ci sia «un dittatore da qualche parte che inizia a imporre la censura qui, negli Usa».
Washington è certa delle responsabilità del regime nordcoreano. Gli hacker che hanno attaccato e minacciato la Sony Pictures hanno lasciato le loro 'impronte digitalì: l'Fbi le ha rilevate e accusa, il mandante è Pyongyang. E per la prima volta, il presidente americano punta ora il dito ufficialmente contro un governo straniero ed il suo leader per un attacco nel cyberspazio, un vero e proprio attacco terroristico contro il primo emendamento della Costituzione Usa, quello sulla libertà di espressione, valutando una rappresaglia adeguata.
Obama riserva però anche una stoccata alla Sony. Cancellare l'uscita del film che non piace alla Corea del Nord «è stata una decisione sbagliata», una forma di autocensura, e «vorrei che mi avessero prima consultato», ha affermato. «Non avevamo alternative», «non abbiamo commesso errori», ha replicato l'amministratore delegato di Sony Pictures, Michael Lynton. E intanto, i pirati informatici cantano vittoria. Hanno inviato un nuovo messaggio ai dirigenti della Sony sostenendo la loro decisione di cancellare la diffusione del film satirico 'The Interview' è stata «molto saggia», e allo stesso tempo intimano: «Ora vogliamo che il film non venga mai distribuito», in alcun modo, «neanche in Dvd o piratato». E con un'implicita minaccia ricordano: «abbiamo ancora vostre informazioni private e sensibili», oltre a quelle che sono già state diffuse. Probabilmente si tratta di una risposta indiretta anche allo scrittore brasiliano Paulo Coelho, che ha offerto alla Sony 100 mila dollari per i diritti del film, per poterlo così pubblicare gratuitamente sul suo blog.
Il film incriminato, The Interview, è un film satirico sul regime nordcoreano, in cui gli attori James Franco e Seth Roger, nei ruoli di un conduttore Tv e del suo produttore, tentano di mettere a punto un piano per eliminare il dittatore Kim Jong-Un, su mandato della Cia. La prima uscita nelle sale era stata fissata per il giorno di Natale, ma ieri è stata cancellata come sono state cancellate tutte le proiezioni a venire, dopo che gli hacker, che si autodefiniscono Guardians of Peace, hanno minacciato attacchi «in stile 11 settembre». Una marcia indietro che ha causato alla Sony contraccolpi alla borsa di Tokyo, dove è quotata, e dove oggi era arrivata a perdere fino al 3 per cento del suo valore, per poi recuperare qualcosa e arginare le perdite a 1,29 per cento. L'Fbi dice di avere numerose prove che il cyber-attacco arriva direttamente dalla Corea del Nord, che gli «strumenti» usati e gli Internet Protocol (IP) di origine sono uguali a quelli di un attacco a marzo contro la Corea del Sud, e «simili atti di intimidazione» sono «inaccettabili per uno Stato».
Ieri aveva alzato la voce anche il capo di stato maggiore interforze, generale Martin Dempsey, dicendosi «preoccupato» del «momento in cui bisognerà far fronte alla realtà», ovvero che uno Stato «ha attaccato nel cyberspazio una società americana». «Non scateneremo una guerra nella penisola coreana per questo», ha dal canto suo affermato un ex funzionario dell' intelligence Usa citato oggi dal Wall Street Journal. Certo però che le opzioni a disposizione di Washington per una «proporzionata» rappresaglia contro Pyongyang non sono molte. Anche perchè la Corea del Nord è già un Paese estremamente isolato, politicamente ed economicamente, e dove la diffusione di Internet è molto limitata e avviene peraltro attraverso la Cina, con cui gli Usa hanno già i loro problemi di cyber-spionaggio. E in ogni caso Pyongyang sembra voler mantenere, almeno per il momento, una basso profilo. Oggi, tramite un suo inviato all'Onu, ha negato ogni coinvolgimento nell'attacco.
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