BEIRUT. Oltre 150 donne irachene, fra le quali alcune incinte, sono state uccise dall'Isis per avere rifiutato di sposare jihadisti dello Stato islamico. L'ultimo, in ordine di tempo, dei crimini perpetrati dallo Stato islamico, è stato denunciato dal ministero per i Diritti umani di Baghdad, mentre a Erbil, nella regione autonoma del Kurdistan, decine di leader politici, tribali e religiosi della comunità sunnita si sono riuniti per decidere una strategia comune sia contro i jihadisti, sia contro il pericolo di persecuzioni da parte delle milizie di volontari sciiti che si battono contro di loro.
Il ministero iracheno, citato dalla televisione panaraba Al Arabiya, ha precisato che la strage di donne è avvenuta a Falluja, città solo 60 chilometri a ovest di Baghdad, caduta nelle mani dell'Isis già all'inizio dell'anno, sei mesi prima dell'offensiva lampo che ha portato i jihadisti ad impossessarsi di Mosul e di vaste regioni nel nord del Paese. La stessa fonte addossa la responsabilità della strage ad un miliziano dello Stato islamico, che identifica come Abu Anas al Libi. Secondo il ministero, quello delle donne è stato solo uno dei massacri perpetrati a Falluja dai jihadisti, che hanno sepolto molte delle loro vittime in fosse comuni nelle aree di Al Zagharid e di Al Saqlawiya.
Centinaia di donne yazide erano state ridotte a schiave sessuali, costrette a convertirsi e a sposare miliziani dello Stato islamico l'estate scorsa nel nord-ovest dell'Iraq quando i jihadisti si erano impadroniti di Sinjar, una delle città simbolo di questa minoranza religiosa, considerata eretica dai fondamentalisti dell'Isis. E proprio per riconquistare Sinjar da ieri i miliziani Peshmerga hanno lanciato un'offensiva con l'appoggio di decine di raid aerei della Coalizione internazionale a guida statunitense.
Secondo fonti militari americane, i curdi sono finora riusciti a riprendere il controllo di un centinaio di chilometri quadrati di territorio. Per quanto riguarda invece la conferenza dei sunniti ad Erbil, la stampa panaraba sottolinea che l'evento è sponsorizzato dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, e uno dei suoi obiettivi principali è «creare una forza militare sunnita anti-Isis».
Secondo alcuni analisti politici, in particolare, Washington punterebbe a creare una forza di non meno di centomila uomini. Secondo Khalid Alwany, consigliere del presidente sunnita del Parlamento Salim al Jubury, tra i principali promotori politici iracheni della conferenza vi sono l'ex ministro delle Finanze, Rafi Essawi, e Athil al Nujaify, governatore della provincia di Ninive, che dal giugno scorso è interamente sotto il controllo dello Stato islamico, insieme al suo capoluogo, Mosul. Proprio la diffidenza della popolazione sunnita verso le politiche giudicate discriminatorie dell'ex primo ministro sciita Nuri al Maliki aveva fatto sì che diversi clan sunniti si alleassero con i jihadisti dell'Isis, favorendo la loro fulminea avanzata nel nord del Paese.
Le atrocità commesse dallo Stato islamico e la politica del nuovo premier Haidar al Abadi tesa a cercare una riconciliazione interconfessionale, ha fatto venir mento in gran parte il sostegno di molte tribù sunnite per l'Isis. Ma le violenze commesse dalle milizie sciite che hanno appoggiato le truppe governative di Baghdad in una controffensiva nelle ultime settimane gettano un'ombra sul futuro della convivenza tra i due principali gruppi confessionali musulmani nel Paese.
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