GERUSALEMME. Israele si avvia a elezioni anticipate in un clima rovente da resa dei conti fra ex alleati di governo. Il siluramento da parte del premier Benyamin Netanyahu dei due ministri centristi dissenzienti Yair Lapid e Tzipi Livni («un atto di codardia», secondo questi ultimi), ha di fatto formalizzato oggi la crisi in atto da tempo. Scatenando un durissimo botta e risposta (Netanyahu è arrivato a gridare al tentato golpe contro di lui) fra la destra e il centro su tutta una serie di dossier: dai contrasti profondi sulla linea da tenere nei confronti dei palestinesi, alla legge manifesto sulla Stato-Nazione ebraica voluta dal premier, al bilancio statale che dovrebbe essere approvato entro la fine dell'anno. Ora non resta che sciogliere la Knesset (Parlamento) - epilogo che il premier ha promesso nel «più breve tempo possibile» - e convocare le urne.
Il voto, secondo i tempi previsti dalla legge e alcune anticipazioni, potrebbe essere fissato a marzo. E a meno che non si brucino le tappe, Israele potrebbe avere un nuovo governo (formato, nelle previsioni, da un'alleanza fra la destra nazionalista e quella dei partiti religiosi) non prima di aprile o addirittura maggio. Un lasso di tempo che a giudizio degli analisti rischia di complicare le gravi incognite che Israele ha di fronte, come ha ricordato lo stesso Lapid. Fatto sta che Netanyahu ha rotto oggi gli indugi e ha tirato le conclusioni dopo aver già ieri ammonito Lapid e Livni di non avere intenzione di tollerare altri attacchi al suo esecutivo. Il vento è girato al peggio con il fallito incontro di mediazione di ieri sera tra lo stesso premier e Lapid: il giornalista di successo prestato alla politica, astro nascente delle passate elezioni con il suo partito 'C'è futurò e idolo della Tel Aviv democratica e laica che si oppone a una Gerusalemme sempre più confessionale e destrorsa, ha respinto infatti «seccamente» l'ultimatum di Netanyahu. Ovvero, l'adesione alla proposta di legge sulla Nazione-Stato (iniziativa che il centro e la sinistra vedono come fumo negli occhi in quanto «ideologica» e potenzialmente «razzista») e il congelamento del piano per la prima casa esentasse, cavallo di battaglia dello stesso Lapid destinato ai giovani. La rottura ha fatto da detonatore a una giornata di fuoco (segnata anche dal voto del parlamento francese a favore del riconoscimento della Palestina come stato) inaugurata fin dal primo mattino dalle parole della Livni: le elezioni - ha detto, invocando di fatto il ricorso anticipato alle urne - serviranno a rimpiazzare un governo caratterizzato da «estremismo, volontà di provocazione e paranoia», visto che Netanyahu mette «parti di Israele l'una contro l'altra». Un attacco a viso aperto, spalleggiato da Lapid poche ore dopo: il premier «è un irresponsabile», ha tuonato a sua volta il ministro delle finanze, imputando a Netanyahu di preferire un accordo con gli ultraortodossi ebrei« a danno degli interessi »di una parte più grande di israeliani«.
La replica del promo ministro è piovuta perentoria a metà giornata con il licenziamento su due piedi dei due ministri ribelli: nelle recenti settimane, incluse le ultime 24 ore - ha ribattuto - Lapid e Livni hanno aspramente attaccato il governo che guido. Non tollero più alcuna opposizione all'interno del governo nè ministri che dall'interno si scagliano contro le politiche del governo stesso e i suoi leader«. Poi ha negato di avere stipulato accordi segreti con i partiti religiosi. L'attuale maggioranza si è in ogni modo volatilizzata in poche ore, dopo aver guidato Israele per due anni scarsi. E ora il futuro immediato appare a diversi osservatori quanto mai problematico. Per questo Netanyahu si è già rivolto al suo elettorato chiedendo di rafforzare nel prossimo voto il proprio partito, il Likud, punto di riferimento tradizionale della destra. Un sondaggio realizzato a caldo dalla tv Canale 10 gli assegna in effetti 22 seggi e la possibilità di riassicurarsi una maggioranza. Ma solo alleandosi con la destra più radicale e gli ortodossi religiosi, e cedendo inevitabilmente spazio all'attuale ministro dell'Economia, Naftali Bennett: rampante leader di 'Focolare Ebraicò e uomo forte vicino ai coloni più bellicosi. Mentre un'opposizione di centro-sinistra potrebbe cercare di ricompattarsi attorno ai laburisti di Yitzhak Herzog. Sullo sfondo si profila del resto anche un nuovo outsider social-populista: Moshè Kahlon, un ex Likud che - se scenderà in campo alla testa di una lista personale di centro destra - rischia di diventare lo scomodo ago della bilancia.
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