ROMA. Erano i soldati dell'Italia "traditrice", quella che aveva abbandonato la Germania in guerra, firmando l'armistizio dell'8 settembre. Per questo, furono lasciati morire di fame dai tedeschi, nel campo di prigionia in Polonia dove erano stati rinchiusi.
E' una storia tragica e terribile quella che emerge dal sottosuolo di Przemysl Pikulice, una cittadina del sudest della Polonia. Durante la II guerra mondiale, qui i tedeschi allestirono un campo di prigionia per soldati nemici, lo Stalag 327. Oggi, gli specialisti polacchi hanno recuperato i resti di 2.500 soldati morti in prigionia nel campo.
Cadaveri senza nome, gettati nudi e senza piastrine in fosse comuni. Sovietici catturati dopo l'invasione del '41 e italiani fatti prigionieri dopo l'8 settembre '43. Detenuti in condizioni terribili, morirono di fame e malattie. "Finora abbia esumato 2.500 corpi - ha raccontato alla France Presse lo specialista polacco che dirige i lavori, Przemyslaw Kolosowski -. Ci sono ancora due fosse comuni con i resti di circa 500 soldati da esumare... Ma non è escluso che la terra di questa regione nasconda altri ossari. I tedeschi hanno distrutto praticamente tutta la documentazione del campo".
Per Kolosowski, i carcerieri si accanirono particolarmente contro gli italiani, per vendicarsi del "tradimento" dell'8 settembre. "Gli italiani subirono un trattamento particolarmente crudele da parte dei loro ex alleati, che in pratica li torturarono facendoli morire di fame", spiega. I corpi ritrovati resteranno quasi tutti senza nome e nazionalità. Sono state recuperate solo alcune piastrine sovietiche e italiane e pochi oggetti personali, come spazzolini da denti, pettini, cucchiai e croci ortodosse.
E' la seconda esumazione di soldati italiani morti nella zona, dopo quella avvenuta nel 1962 e finanziata dall'Italia. I resti all'epoca furono inumati nel cimitero militare di Nehrybka, a qualche chilometro di distanza. I corpi scoperti adesso saranno seppelliti nello stesso cimitero, che l'anno prossimo verrà appositamente ampliato. "I soldati italiani erano protetti dalla Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra - spiega la studiosa Anna Maria Isastia, docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma -. Ma i tedeschi dopo l'8 settembre catturarono con l'inganno 800.000 militari italiani e negarono loro lo status di prigionieri di guerra, inventando uno status inesistente, quello di 'internato militare italiano'".
Per la studiosa, i tedeschi si comportarono così per punire il "tradimento" degli italiani e per usarli come manodopera forzata, cosa vietata dalla Convenzione di Ginevra. I nostri soldati così furono accomunati ai prigionieri dell'Urss, che non aveva firmato la Convenzione. "Inglesi, americani e francesi furono trattati umanamente - prosegue Isastia -. Italiani e russi invece furono mandati in fabbriche e miniere a lavorare 15 ore al giorno, con poco cibo e abiti leggeri. In alcuni campi di prigionia l'aspettativa di vita era di 50 giorni, e si verificarono atti di cannibalismo".
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