BRUXELLES. Avverrà domani allo Justus Lipsius di Bruxelles con una cerimonia formale ma semplice, senza grandi eventi 'vip', il passaggio delle consegne e il ritiro dalla politica di Herman Van Rompuy. Il presidente uscente del Consiglio europeo, nel suo stile sottovoce che ha caratterizzato i cinque anni alla guida dei 28, lascerà le redini in mano per la prima volta nella storia Ue a un uomo dell'Est ex sovietico, il polacco Donald Tusk. Un leader indiscusso e carismatico in patria, dove ha guidato il governo per sette anni prima di lasciarlo alla delfina Ewa Kopacz in seguito alla nomina europea. È l'ultimo cambio della guardia a Bruxelles, che conclude il rinnovo dei vertici Ue dopo Parlamento e Commissione, e apre una pagina inedita. «Topo grigio», «impiegato di banca» e «straccio per i pavimenti»: questi gli appellativi tutt'altro che lusinghieri che il leader dell'Ukip Nigel Farage diede al neo presidente Van Rompuy cinque anni fa, e l'immagine di lui che la stampa internazionale non ha più abbandonato. L'uomo, di credo cristianodemocratico, molto attaccato alla famiglia, è divoratore di romanzi e autore di haiku multilingue parlando, oltre al fiammingo, francese e inglese. Certo non una personalità da fare ombra ai capi di stato e di governo che nel 2009 affossarono per questo motivo il britannico Tony Blair e anche l'attuale presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. La scelta ricaduta su Van Rompuy - ottimo ascoltatore, abile mediatore e infaticabile negoziatore come ogni premier belga abituato a dover tenere insieme un paese sempre sull'orlo della scissione - ha permesso quindi di costruire una figura di presidente Ue (istituita per la prima volta proprio nel 2009 con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona) come 'creatore di consensò. Provvidenziale o fatale sarà la Storia a dirlo, ma nell'immediato è stato lui ad allontanare, insieme a Juncker e a Barroso, l'Europa dal baratro in cui, in piena crisi dell'eurozona, era sul punto di cadere. Riuscendo a convincere i 'big' europei ad accordarsi sul salvataggio della Grecia, il fondo salva-stati e la supervisione bancaria, ma anche sul bilancio Ue 2014-2020 oltre al nuovo pacchetto di nomine Ue. Tusk eredita ora un ruolo che, almeno sulla carta, com'è stato interpretato finora non corrisponde al suo profilo politico. Leader decisionista e accentratore, abituato a comandare e governare dell'alto verso il basso, senza abilità linguistiche particolari (parla polacco e russo, ma sta studiando l'inglese), potrà forse dare un nuovo input alla figura di presidente del Consiglio europeo. Allo stesso tempo il suo bagaglio politico, sociale ed economico - ex paese comunista, la Polonia fuori dall'euro è stata l'unica a crescere sempre durante tutti gli anni della crisi - entrerà dalla porta principale ai piani alti dell'Ue dove finora hanno seduto solo i paesi della Vecchia Europa occidentale. Una finestra e un radicamento dell'Europa ad Est che, nel pieno della crisi russo-ucraina, della stagnazione economica e dello stallo del motore franco-tedesco, possono aprire strade nuove, ma anche sollevare nuovi problemi.