RANGOON. I ribelli kachin, attivi nel nord della Birmania, hanno annunciato la morte di 22 loro uomini, confermando che la ribellione delle minoranze etniche resta una della sfide principali della transizione nel Paese. "È la più grande perdita che abbiamo subito in un solo attacco" - ha dichiarato in serata un portavoce dell' Esercito per l'indipendenza Kachin (Kia). Questo attacco con artiglieria pesante vicino alla località di Laiza ha anche ferito 15 persone, secondo i ribelli. L'esercito non ha confermato. Gli ultimi negoziati per un accordo di cessate-il-fuoco tra il potere birmano e i gruppi armati delle minoranze etniche sono naufragati a settembre. La Birmania è teatro, dalla sua indipendenza dagli inglesi nel 1948, di conflitti armati tra il potere centrale e molte delle numerose minoranze etniche, tanto da essere diventata sede della più lunga guerra civile al mondo. Dopo la dissoluzione della giunta nel 2011, il nuovo governo misto ha lanciato colloqui di pace con i gruppi ribelli, giungendo a una tregua con la maggior parte di essi. Tuttavia, a un anno dalle cruciali elezioni legislative attese per il 2015, le speranze di pace a livello nazionale si sono infrante sulla sfiducia e il proseguimento dei combattimenti in certe regioni. Una tregua è stata siglata con 14 dei 16 principali gruppi ribelli. Ma le discussioni con l'Esercito per l'indipendenza Kachin e con quello Tàang, nello Stato di Shan, non sono mai iniziate. Nel frattempo, se mai c'è stata una speranza, ora sembra davvero tramontata: Aung San Suu Kyi non sarà presidente della Birmania nel 2015. L'ammissione è arrivata dal portavoce dello stesso partito della «Signora», dopo che ieri da alti esponenti delle autorità erano già giunti segnali sull'impossibilità di emendare la Costituzione, che al momento preclude la carica di capo dello Stato alla Premio Nobel per la Pace. «Non possiamo vincere» questa battaglia politica, ha detto Nyan Win della Lega nazionale per la democrazia (Nld), riferendosi allo sforzo per convincere le influenti forze armate ad eliminare una norma della Carta che sembra fatta apposta per tenere a freno le ambizioni di Suu Kyi. L'articolo 59(f) vieta infatti la presidenza a chi abbia familiari stranieri: proprio il caso della leader dell'opposizione, che ha due figli britannici.