BRUXELLES. «Ora è il momento di rimboccarsi le maniche e mettersi al lavoro. L'Europa ha di fronte a sè sfide che non possono aspettare». Lo afferma il nuovo presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, nel momento dell'insediamento. «Grazie al sostegno democratico dei cittadini europei, al Parlamento europeo e ai capi di Stato e di governo, oggi la nuova Commissione entrerà in carica. A partire da oggi, il mio team e io cominceremo a lavorare sodo per fornire l'Europa il nuovo inizio che abbiamo promesso. Insieme ad una squadra forte ed esperta non vedo l'ora di impegnarci per l'Europa nel corso dei prossimi cinque anni». Intanto l'era Barroso è finita e, oggi, partirà quella di Juncker, ma i problemi che Bruxelles è chiamata ad affrontare, su tutti quelli della crescita e della lotta alla disoccupazione, restano immutati. Dopo due mandati, il leader portoghese chiude una stagione segnata da molte critiche, durante la quale le ragioni dell'austerità, secondo tanti hanno oscurato quelle della ripresa. L'accordo importante sul gas tra Ucraina e Russia, strappato all'ultimo minuto, non sembra averlo salvato dal giudizio severo che tanti danno della sua presidenza. Barroso e la sua Commissione vengono accusati di non essere riusciti ad agire in modo tempestivo ed efficace per prevenire la crisi economica, di essere stati sorpresi dagli eventi. Ma anche di aver reagito con drastiche misure di bilancio che hanno perfino aggravato la situazione, salvando le casse delle banche, ma al prezzo di mettere in ginocchio l'economia reale e di conseguenza la vita quotidiana di tanti cittadini europei. Percepite troppo accondiscendenti con i dettami tedeschi e inglesi, in questi anni le istituzioni di Bruxelles hanno perso credibilità: non a caso pochi mesi fa, alle elezioni europee,nei grandi Paesi dell'Unione è cresciuto il consenso a favore di forze politiche con storie diverse da Paese a Paese ma unite dalla stessa grande diffidenza, se non addirittura rabbia, contro la burocrazia dei tecnocrati di Bruxelles. Le Pen in Francia, Grillo in Italia, Farage in Gran Bretagna, tutti movimenti sospinti da un sentimento di euroscetticismo molto popolare tra i ceti più deboli, meno tutelati, che ormai coinvolge non solo la moneta unica ma anche l'ideale di un'Europa unita. Insomma, un lascito pesante, per la nuova Commissione guidata da Jean Claude Juncker, che tuttavia, dalle prime mosse, ha cercato di spostare il centro dell'attenzione dal rigore sui conti pubblici, alla crescita e agli investimenti. Già nel suo discorso di insediamento il leader lussemburghese ha annunciato un piano di 300 miliardi di euro con cui finanziare progetti di sviluppo che verranno definiti entro dicembre, una misura simbolo che vuole segnare un cambio radicale di strategia. Del resto Juncker, la cui elezione è il frutto di un accordo bipartisan, sa che ha bisogno di trovare un punto di equilibrio tra rigore e crescita molto più avanzato rispetto al passato se vuole prendere le distanze dal suo predecessore. Ma basta vedere i numeri per capire che si tratta di un compito decisamente complicato: nella nuova Commissione, ben 14 poltrone su 28 sono occupate da esponenti popolari. E la stessa Cancelliera Angela Merkel, già protagonista indiscussa dell'ultimo decennio segnato dal rigore, nelle ultime settimane ha fatto scelte molto oculate riuscendo a piazzare leader a lei molto vicini nei posti chiave di Bruxelles. Mosse che rischiano di mettere in sordina ogni intervento che punti all'aumento della domanda interna e a una maggiore flessibilità. E già la settimana prossima, esattamente martedì 4 novembre, gli uffici della Commissione diffonderanno le loro stime sui budget dei singoli Paesi: un giudizio certamente tecnico, basato su dati e cifre. Tuttavia, già queste attesissime pagelle, potrebbero diventare un importante primo banco di prova che qualcosa sta cambiando. Dal modo in cui questi numeri verranno letti, presentati e interpretati si potrebbe capire se Bruxelles intende sforzarsi per riavvicinarsi ai cittadini, cercare di riconquistare la loro fiducia o continuare ad andare avanti sulla strada già seguita in passato.