SAN PAOLO. Né alternanza, né cambiamento: Dilma Rousseff succede a se stessa. Ha ottenuto oltre 53 milioni di voti contro i poco più di 50 del suo avversario, il conservatore Aecio Neves. Gli elettori brasiliani hanno deciso che sarà la presidente di sinistra a guidare il colosso sudamericano anche per i prossimi quattro anni. In un momento di difficoltà, con l'economia entrata in recessione tecnica e con il Pil che ha fatto segnare per due trimestri segno negativo, i brasiliani hanno scelto la sicurezza piuttosto che il cambiamento.
E si sono affidati all'esperienza della sessantaseienne Dilma. Ma il paese si è diviso in due. Quella di Dilma è stata infatti una vittoria sul filo di lana, preceduta da una campagna elettorale senza esclusione di colpi, la più aspra e combattuta dal ritorno alla democrazia dopo il ventennio di dittatura militare. L'ex guerrigliera marxista salita nel 2010 sulla poltrona più importante del Brasile ha inanellato una serie di successi che le hanno permesso la riconferma: al primo turno ha sbaragliato l'ambientalista Marina Silva, che sembrava incarnare la volontà di cambiamento di una larga parte della società emersa prepotentemente lo scorso anno e sfociata in oceaniche manifestazioni di piazza.
La campagna elettorale al primo turno di Dilma è stata un martellamento costante contro Marina, che per calcolo politico e per desiderio di vendetta più che per convinzione e affinità ha scelto di appoggiare il conservatore Aecio Neves al ballottaggio. Ma l'appoggio di Marina non è bastato a Neves, che è il grande sconfitto delle presidenziali 2014. Il candidato conservatore ha condotto una campagna elettorale aggressiva e mirata ai punti deboli del governo: economia debole, promesse non mantenute, pochi investimenti nelle infrastrutture necessarie per attrarre investimenti stranieri e scandali di corruzione.
Ma non è bastato a sconfiggere la macchina elettorale del Partito dei lavoratori di Dilma, il più radicato sull'enorme territorio nazionale. Nei quattro infuocati faccia a faccia televisivi tra i due candidati, Dilma è riuscita a rintuzzare le accuse di Neves ed a ribaltare i sondaggi a lei sfavorevoli. Anche grazie all'appoggio costante del suo predecessore e mentore Lula, che si è impegnato in prima persona senza risparmiarsi durante tutta la campagna elettorale. Un sostegno che invece è mancato a Neves da parte del suo sponsor politico, l'ex presidente Fernando Henrique Cardoso, che come Lula ha governato il Brasile per due mandati consecutivi.
Dilma ha vinto e sarà la presidente di tutti i brasiliani ma queste elezioni hanno mostrato una polarizzazione della politica nazionale che sembrava superata durante gli anni di crescita economica a doppia cifra: il Nordest povero e arretrato ha votato in massa per Dilma, che ha continuato a finanziare i programmi sociali lanciati da Lula che hanno permesso di affancare dalla miseria oltre 40 milioni di brasiliani, mentre il Sud ricco ed avanzato si e' schierato compatto con Neves, che era anche visto di buon occhio dalla grande finanza e da Washington.
La conferma di Dilma farà invece quasi certamente storcere il naso alla Casa Bianca. Nei quattro anni di governo Rousseff, infatti, le relazioni tra il Brasile e gli Stati Uniti sono precipitate ai minimi storici. Principalmente per le rivelazioni del Datagate, che hanno permesso di scoprire uno spionaggio costante ai danni della presidente brasiliana, ma anche per il ruolo sempre più di rilievo del Brasile come guida dei governi progressisti dell'America latina dopo la scomparsa di Hugo Chavez.
Senza dimenticare l'azione decisiva svolta da Dilma nella nascita della 'Banca dei Brics', con il dichiarato intento di contrastare l'egemonia delle istituzioni come Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, dove le principali economie emergenti si sentono poco rappresentate.
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